Notizie dall'Italia
Prepararsi alla guerra
Sul concetto sottolineato dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito si esprime il generale Burgio
07-11-2024 - Non si può che plaudire ad un capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Carmine Masiello, per aver ribadito un concetto che ai vecchi non appare nuovo, e rientrerebbe nell’ovvio, nel banale, se altro tipo di banalità non avesse allignato – mi correggo: alligna ancora sovrana – fra scranni della politica e nei salotti buoni della cultura radical chic. L’unica che ha diritto d’esprimersi.Il generale ha detto, in sintesi, che l’Esercito si debba preparare a far la guerra.
Del resto Marina e Aereonautica Militari a quello si son sempre preparati, mentre l’Arma, seppur a volte con le mani legate per invadente buonismo, combatte la sua battaglia per garantire la sicurezza.
In effetti era solo l’Esercito che sembrava da qualcuno – o da troppi – destinato a intervenire in sostegno della Protezione Civile, che è carrozzone semi-efficiente (ovvero inefficiente), a raccogliere l’immondizia dove i Comuni non riuscivano a far lavorare dipendenti e ditte appaltatrici, a vigilare su metropolitane, piazze, sedi di partito, ville di politici, magistrati e persone “a rischio”.
Ci si è scordati che Armata del Duca di Savoia, Armata Sarda, Regio Esercito e Esercito Italiano da sempre si siano solo preparati per fare la guerra, almeno fino ai primi 40 anni dopo l’ultimo conflitto. Con fondi scarsi e mezzi spesso obsoleti, e la consapevolezza che sarebbe stata dura.
Come quando ad Alamein si attaccava con le “casse da morto” armate del 47/32 gli Sherman che pesavano il doppio, e colpivano più lontano e più potentemente.
Come in Russia, per andare al Don e tornare “a baita” a piedi, quando tutti andavano in gita sull’autobus.
Ma l’Esercito era visto come una grande fonte di mano d’opera a basso costo, in tempo di pace; era facile dire che l’Esercito s’era squagliato l’8 settembre e non meritava rispetto. Forse era complicato provare a studiare e capire che a quella maledetta data non c’era più quasi nulla da spendere per combattere, per l’improvvida gestione di un regime da operetta. Che ne aveva mandati troppi a morire o nei campi di concentramento per prigionieri di guerra e internati, e a rovinarsi una reputazione fatta di sacrifici.
Ad ogni modo, con le pezze al sedere, passandosi le giacche a vento da chi si congedava a chi veniva arruolato, nello stesso spirito del fante che preparava la bottiglia di benzina per far fuori il carro nemico, perché i contro-carro buoni non c’erano, l’Esercito s’era preparato a fare il suo durante la Guerra Fredda.
Ora generazioni di soldati – nelle missioni di mantenimento/imposizione della pace – hanno acquisito coscienza di quanto sia orrenda una guerra.
Di certo non son cresciuti col sogno di retorica, sciabola sguainata e bandiera al vento. Sanno che la guerra è proprio l’ultima opzione, quella che la Carta Costituzionale consente quando proprio non c’è nulla da fare, in quanto la volontà di ripudiarla non è condivisa da chi ci attacca.
E del resto, così come “ripudia la guerra”, la Costituzione aggiunge che “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. Questo per i soliti costituzionalisti da tastiera che prendono per buone solo le indicazioni coerenti con una certa visione del mondo.
I soldati non vogliono fare la guerra, ma sanno che qualcuno potrebbe essere chiamato a farla. E non fanno il passo indietro.
Ad ogni modo, il “capo”, come vien definito nei corridoi di via XX settembre, nel dire un’ovvietà, ha sostenuto principio sacrosanto, dimostrando coraggio da vendere.
Perché in Italia certe cose non si possono e non si devono dire.
Non a caso facciamo parte di quella limitatissima area delle terre emerse i cui Paesi non vogliono far guerra. Peccato che tutto il resto del mondo non sia d’accordo.
Ora c’è da attendere solo le dotte interpretazioni di Scanzi e del pool anti-Vannacci, per spiegare al dotto e inclito pubblico che, con ciò che sta succedendo nel mondo a breve distanza dalle nostre terre, non serva prepararsi a fare una guerra.
Chissà se potranno nutrire curiosità per lo studio di cosa accadde con la crociata dei pezzenti di “Pietro l’Eremita”, nel 1096 d.C., quando una folla semi-disarmata andò solo a concimare le terre che si voleva liberare dal giogo dell’Islam, e ad ingrossare la servitù coatta dei signori ottomani.
Carmelo Burgio
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