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foto di: Cybernaua
A colloquio con il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi su temi attuali
Immigrazione, missioni ed operazioni all'estero ed in territorio nazionale, il Libro Bianco: la Difesa impegnata a razionalizzare la sua gestione
07-04-2017 - All'onorevole Domenico Rossi non dispiace essere chiamato ‘generale’. Pur collocato d'ufficio in aspettativa senza assegni per la durata del mandato parlamentare e quindi destinato all’incarico di sottosegretario di stato alla Difesa, nel suo cuore resta lo spirito del soldato, che dall’Accademia ha percorso la carriera ricoprendo incarichi di responsabilità, sino a diventare Sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito, incarico lasciato poi per entrare nel mondo della politica.
Ha un’attività impegnativa di rappresentanza della Difesa, sia nei rapporti con la società civile nazionale, sia negli incontri con omologhi internazionali ed in varie circostanze all’estero.
Quest’anno ha partecipato all’IDEX 2017 negli Emirati Arabi, ha incontrato a Roma il Presidente del Camerun, il Presidente della Tunisia, ha dialogato con studenti sul tema della legalità, partecipato a convegni su cybersecurity e su protezione internazionale in Italia.
Cybernaua ha chiesto un incontro per affrontare alcuni temi di grande attualità, quali l’immigrazione, la programmazione della Difesa basata sul ‘’Libro bianco’’, i rapporti internazionali che sviluppano dibattito nel nostro Paese e non soltanto tra le parti politiche che dichiarano i vari tipi di soluzione.
L’opinione pubblica riceve notizie che rendono spesso difficile la comprensione di come e perché si sia arrivati a dover accogliere in modo a volte caotico ed incontrollato persone che giungono sulle nostre coste attraverso il mare.
Non mancano “rivelazioni” giornalistiche: pare che attualmente il problema della clandestinità sia gestito in modo non del tutto corretto da alcune Ong.
Cosa risulta alla Difesa a tale proposito e come la Difesa affronta la questione?
"La Difesa considera il tema dell’immigrazione in tre step diversi.
Non dobbiamo dimenticare che nel momento in cui nasce il problema del flusso migratorio, chi si è trovato proiettato a fronteggiarlo in termini in quel momento esclusivamente di carattere umanitario, sono state le forze Armate, Marina Militare, Capitaneria di porto e altri assetti di carattere istituzionale.
L’operazione “Mare Nostrum” nasce così e con risultati straordinari dal punto di vista umanitario, con più di 150mila persone salvate e con un discreto successo contro il traffico di esseri umani.
L’evoluzione successiva è stata quella di cercare di far capire all’Europa che i confini marittimi italiani non sono soltanto italiani.
Il primo successo, il primo passaggio di aiuto con Frontex, ha allargato un po’ il ‘gioco degli specchi’ iniziali, ma il vero passaggio da un’operazione esclusivamente nazionale ad un’operazione realisticamente europea è avvenuto attraverso l’operazione “Sophia”.
//www.cybernaua.it/news/newsdett.php?idnews=5544
Con “Sophia”, nel momento in cui ha preso la conduzione dell’operazione attraverso la filiera dell’ammiraglio Credendino, con un buon dispiegamento di forze, la Difesa ha rispettato i dettami della risoluzione del Consiglio Europeo: la prima fase era l’individuazione delle rotte e delle possibili fonti da cui provenivano i traffici e la seconda fase era quella di intercettazione delle imbarcazioni, dei battelli di scafisti all’interno delle acque internazionali.
Come si sa, la seconda parte della seconda fase e la terza parte, che sarebbero le condizioni che potrebbero consentire alle forze armate di andare in acque libiche o addirittura sul suolo libico, necessitano di accettazione da parte del governo libico e di una risoluzione ad hoc."
Però lo stesso Frontex accusa alcune Ong di “esagerare” nell’andare a raccogliere persone troppo vicino alle coste libiche…
" Sotto questo punto di vista, anche noi notiamo che ci sono delle Ong che non hanno il rispetto delle regole che osserviamo noi.
A tale proposito, su questo so che c’è un’inchiesta in corso, un approfondimento anche da parte della Commissione Difesa del Senato; credo verranno chiamate sia le parti istituzionali sia le Ong; poi non bisogna fare di tutt’erba un fascio: c’è chi rispetta le regole e chi forse si spinge oltre a quello che è consentito. Aspettiamo la fine dell’inchiesta per conoscere la situazione reale."
Su questo tema, per fermare la migrazione, quanto incide l’accordo siglato tra Italia e Libia?
"Credo che l’accordo che l’Italia ha preso con la Libia sia o possa essere effettivamente la chiave di svolta della situazione, perché ci sono 3 aspetti da considerare, che insieme fanno un bel quadro della prospettiva: uno riguarda la missione Sophia, cioè le decisioni del consiglio europeo, che hanno assegnato, all’interno dell’operazione, la possibilità di addestrare personale della Guardia costiera libica, (già avvenuto in una prima fase).
Perciò già abbiamo personale della Guardia costiera libica addestrato, mentre altro si sta addestrando su Malta, su cui poniamo la speranza che possa effettivamente condurre operazioni concrete al riguardo già nei prossimi mesi.
A questi si aggiungono due elementi.
Il primo riguarda gli accordi fatti con il presidente Serraj affinché ci sia una più stretta connessione tra Italia e Libia sul tema migratorio.
Finalmente si considera anche un aspetto, che è un po’ l’uovo di Colombo: si possono fermare i migranti, occorre però capire che i migranti non nascono sulle coste libiche, ma essi provengono dal sud, dal Niger, da confini che sono molto estesi, sui quali i trafficanti guadagnano.
L’accordo con la Libia, che ha portato all’attenzione anche la questione del controllo dei confini a sud, è stato importante.
Importante su questo fatto anche l’accordo siglato pochi giorni fa tra le tribù libiche, che controllano quelle zone.
Con la regia italiana e siglato a Roma, l’accordo ha due facce: da parte libica vi è il controllo maggiore della situazione, con una richiesta di aiuto e di sviluppo in termini sociali ed economici, affinché una parte della popolazione non sia attratta dai facili guadagni del traffico umano.
Forse la sintesi è che finalmente si riesce a parlare in termini statuali di intenzioni reciproche e tra organismi che bene o male costituiscono assetti di riferimento.
Non dimentichiamo che la situazione libica non va vista solo nel momento in cui parliamo, ma da dove siamo partiti; è evidente che siamo all’interno di un processo di unificazione della Libia che ancora non si è compiuto totalmente, ma rispetto a due anni fa, siamo di fronte ad un governo riconosciuto in termini internazionali, non solo dall’Italia, ma in termini ONU; riusciamo a dialogare, a mettere forze come la Guardia libica espressione dello stato libico e riusciamo anche a fare accordi con le altre parti in causa. Ciò significa che al momento c’è un’evoluzione, fermo restando che da parte del governo italiano non abbiamo mai chiuso le porte ad una interlocuzione con le altre parti."
Anche perché in fondo poi dobbiamo difendere alcuni interessi prettamente italiani, uno per tutti Eni...
" Gli interessi italiani vanno protetti in ogni dove: tra le altre cose, insieme alle operazioni cui abbiamo accennato prima, esiste “Mare Sicuro”, proiettata proprio a salvaguardare piattaforme nazionali o altri interessi".
Un altro tema di cui è attuale sentir discutere è il “Libro Bianco”, che è ancora un disegno di legge in attesa dell’approvazione del Parlamento e di cui il generale Rossi è esperto.
Alcuni media hanno riportato dichiarazioni non molto positive riguardo la funzione del libro bianco ed alcune contestazioni relative anche alla eventuale possibile creazione di un maggior numero di cariche e di vertici.
Chiediamo al sottosegretario Rossi cosa ne pensi, quanto sia verosimile la contestazione.
"Credo che il libro bianco sia l’aspirazione di dare una governance alla Difesa, che sia all’altezza della evoluzione avvenuta in questi ultimi anni. Una risposta alle “"lesson learned"” provenienti dalle varie situazioni che abbiamo affrontato nel corso degli ultimi 10/15 anni.
Maggiore unicità di comando, a livello delle attribuzioni sia verso il Ministro che verso il Capo di Stato Maggiore della Difesa, con una unicità di comando specie verso il Capo di stato Maggiore Difesa, tenuto conto che l’esperienza ci ha insegnato che non esiste più una missione dedicata esclusivamente ad una sola forza armata, (tranne qualche raro caso specifico) ma in termini generali è coinvolgente tutte le forze armate. Soprattutto poi in un periodo di risorse limitate, credo sia anche la risposta alla razionalizzazione che la società chiede in tutti i settori.
Tale razionalizzazione, non dimentichiamo, è partita prima della creazione del Libro Bianco, con la legge n.244 del 2012, in cui le forze Armate hanno incominciato un processo che da 190mila unità sta portandole a 150mila e da 32mila civili a 20mila, cercando di ridistribuire in termini prospettici le risorse assegnate in modo più equilibrato, nei tre settori fondamentali della Difesa: Personale, tra cui anche i civili impegnati, Investimento ed Efficienza.
Questo processo si colloca nel libro bianco che, tra i vari aspetti fondamentali, ha quello di variare il modello operativo, cambiando l’ottica della gestione delle risorse alle Forze Armate, sino ad alcuni anni fa destinate soprattutto al settore del Personale."
Ci fa notare Rossi che per vari motivi, anche operativi, le Forze armate rischiano di “invecchiare”, avendo attualmente un modello (con una percentuale di 70 a 30) di personale in servizio permanente con parte limitata di personale in ferma. L’ideale sarebbe, se non proprio invertire la percentuale, almeno di ringiovanire, perché le missioni hanno insegnato che occorre gente operativamente più “attiva”.
"Quindi", continua Rossi, "non si va verso un incremento dei gradi o dei comandi; ma verso la costituzione di comandi essenziali per l’unitarietà del comando stesso: poche pedine che però governino il sistema".
Con tale prospettiva dunque si va alla costituzione del cosiddetto piccolo Pentagono, ad imitazione dell’istituzione americana, con i comandi assembrati nell’aeroporto di Centocelle di Roma, che non è altro che una razionalizzazione delle strutture e degli spazi, tenendo conto che le interconnessioni tra gli stati maggiori stessi sono molto più estese e frequenti rispetto al passato.
Ed a proposito di America, l’Italia è parte integrante della NATO, considerata importante partner degli Stati Uniti e fondamentale nelle coalizioni che partecipano alle missioni internazionali.
Il presidente Trump ha aumentato le spese della Difesa, come si pone l’Italia al confronto?
"Credo che l’Italia ora sia uno dei più grandi contributori delle missioni internazionali in ambito europeo e Nato, con sforzo di natura tangibile nel settore della sicurezza all’esterno, ma anche sul territorio nazionale, come possibile constatare con l’operazione che impegna 7mila persone in “Strade Sicure”. Realizzando uno sforzo in termini finanziari di carattere notevole.
Tutto questo stiamo cercando di inserirlo all’interno di un’azione che sia quella di una difesa europea, che sia la vera risposta a determinati atteggiamenti da parte del nuovo presidente USA di dare all’Europa maggiore peso alla Difesa".
Una Difesa europea rafforzata, dunque, potrebbe essere la necessaria risposta sia in termini operativi sia in termini industriali e contrattuali, anche nell’ottica di un risparmio di risorse.
Tema di cui si è parlato pochi giorni fa, in occasione della celebrazione dei 60anni dei trattati di Roma, nel cui documento firmato è un punto preciso in cui si tratta del rafforzamento della Difesa europea e sottolineata la partecipazione alla sua formazione da parte dei vari Paesi che possono concorrere in termini diversi.












Maria Clara Mussa
 
  


 
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