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foto di: Dimitris Azarof di Kommersant
Il vaso di Pandora turco
Scenari futuri e una proposta innovativa: Integrazione mediterranea
05-04-2018 - prima parte
1. Il quadrante Eastmed è al centro delle mire geostrategiche delle grande potenze
2. Le mosse turche, basate si di una strategia ambiziosa ma esposta alle decisioni di Pechino, hanno creato una situazione di difficilissima gestione;
3. La situazione attuale potrebbe evolversi in una crisi regionale e rivolgimenti geostrategici maggiori, con l’aumentare dell’influenza russa e cinese su tutto il Mediterraneo orientale ed i Balcani;
4. In tal caso, la crisi sfocerebbe in instabilità di lungo periodo con enorme danno economico per i paesi coinvolti;
5. Gli ultii eventi hanno dimostrato la difficoltà di attivare, per una serie di motivi che abbiamo analizzato, gli strumenti disponibili a livello NATO e UE.
6. E’ possibile allora pensare ad integrare tali strumenti con un nuovo organismo, immeditamente legato all’area inquestione e destinato a garantire alla stessa stabilità ed agli appartenenti un maggior peso geostrategico e maggior sviluppo
La difficile posizione turca ed il costo della politica dei ''troppi forni''; Erdogan preso in mezzo al guado
La Turchia è in una posizione di estrema incertezza e difficoltà, e comincia a pagare la politica dei troppi forni di Erdogan e, soprattutto, il “tradimento” cinese.
All’ultimo Congresso del PCC, il Presidente cinese Xi ha ammesso che fino al 2050 la Cina non sarà una potenza globale.
Da questo, il governo turco ha capito una cosa: la Cina non potrà, fra le altre cose, difendere la Turchia della cui integrità è garante.
Notare: Cina garante dell’indipendenza e integrità turca. Di per sè una questione tanto curiosa, quanto pregna di significati, su cosa preoccupa la dirigenza turca e sull’idea che Ankara si è fatta delle intenzioni dei suoi “alleati”.
Dal Congresso del PCC in poi la posizione strategica turca è cambiata, perdendo molte certezze. E portando al pettine diversi nodi, in un momento in cui il piano di sviluppo di Erdogan (che analizzo in seguito) è ancora lontano dal compimento. Se mai si compirà, se avrà il tempo.
La decisione cinese non ha influenzato solo Ankara, ha influenzato anche Mosca. Putin ha certamente una carta in più da giocare nella sua corsa al Mediterraneo. Chi abbattè il SU-24 (cosa mai dimenticata), adesso è un po’ nudo e meno protetto. Possiamo dire che Erdogan è stato colto in mezzo al guado di una rivoluzione appena iniziata.
La strategia originaria di Erdogan
Non tutte le ciambelle riescono col buco, si sa. E la strategia di Erdogan, volta a creare una Turchia prima potenza regionale e attore globale, padrona di vie di comunicazione e risorse, signora del Medio Oriente e del Mediterraneo, è una strategia legata a doppia mandata alla potenza cinese. Idea che comincia ad assomigliare sempre di più ad una ciambella mal fatta.
Dietro il velo del pomposo “Piano del Centenario, 2023”, Erdogan ha montano una politica economica e industriale quasi obbligata, date le lacune e le debolezze strutturali attuali dell’economia turca e l’allontanarsi della prospettiva europea.
Forte dell’appoggio diplomatico, finanziario e (credeva) militare di Pechino, Erdogan si è lanciato in una politica di potenza affrettata, almeno nel proprio aspetto di forza. E adesso con troppi nemici e assai pochi amici, si vede costretto a portare in fondo un gioco del quale successo Erdogan stesso dubita.
Ha voluto la bicicletta....
L’ossatura della strategia, una gigantesca rivoluzione economica, geopolitica e strategica, è quella dello sviluppo dirigistico (basato su aiuti/capitali cinesi e qatarioti), con la creazione di un’industria nazionale in vari settori, quello militare incluso. Industria da alimentare con un amumento di domanda interna e di export verso i mercati “amici” di EAEU, SCO e Africa.
Come aumentare la domanda interna? Attraverso la diminuzione della capacità di acquisto di prodotti occidentali da parte del settore privato, partendo da una stretta sul credito al consumo ed all'import. Limitazioni anche alla capacità creditizia delle azende private, da assoggettare al piano di AKP. Il pattern economico turco, secondo questa strategia dovrà cambiare. Molta più offerta di beni made in Turkey o made in Asia e Africa, più export verso aree non €/$.
In questo filone si inseriscono le recenti decisioni del governo in merito all'accesso a strumenti di finanzia islamica, investimenti pubblici al limite del dirigismo, indipendenza energetica e differenziazione delle fonti, implementazione di accordi commerciali bilaterali con paesi affini (Cina, Qatar, Russia, Iran, Iraq, Pakistan, Malaysia e altri), export militare a VA relativamente alto, destinato a paesi asiatici, sud americani e africani.
Un piano poco gradito alla classe media turca, moderna ed europeizzata. Piano quindi, da corroborare con ampia retorica nazionalista e neo ottomana, con una stretta democratica sull’informazione, per rinsaldare quanto più possibile l’elettorato di AKP. Senza disdegnare svolte sempre più a destra (estrema), sino ad “arruolare” i Lupi Grigi.
Consideriamo adesso alcuni dati elementi di base.
Il debito pubblico turco, benchè classificato come “junk o low investment grade” è comunque molto basso, appena il 30% del PIL. Più preoccupante il debito privato, pari al 160% del PIL;
Preoccupante anche il debito estero turco pari al 50% del PIL. Dopo un 2017 in forte crescita del PIL (+7,4% su base annua), espansoine guidata sia dal consumo privato (+7,4%) che da altri fattori (Servizi +10,7%, industria + 9,2%, costruzioni e lavori pubblici +8,9%), il 2018 si presenta meno “brillante” sia a causa degli effetti inflattivi sui salari reali, sia per le difficoltà finanziarie di aziende e sistema finanziario, legate alla caduta della Lira turca.
Secondo le previsioni di Goldman Sachs il 2018, dovrebbe comunque segnare un +4,8% che resta comunque un risultato tale da non far deviare Erdogan dalla sua idea base di riforma dell’economia.
Diventa utile ricordare che per il governo di Ankara la soglia di “accettabilità” della crescita del PIL reale, è pari al 3.5%. Quindi ancora ci siamo.
Erdoganomics: religione, finanza islamica e politica; otto motivi
Erdogan ha (o mostra di avere) una forte avversione per i tassi di interesse, che ricordiamolo, secondo la tradizione islamica sono considerati usura (Riba). Erdogan in realtà, in ossequio alle più profonde tradizioni ottomane, sarebbe del tutto contrario al concetto di Riba e preferirebbe l’applicazione delle regole di finanza islamica pure (Fiqh al-Muamalat) e quindi di strumenti come il Qardh-ul hasan, ovvero mutui il cui premio non è un tasso di interesse, quanto un “onere di gestione”.
Non potendo comunque estendere questo volere alla finanza mondiale, Erdogan opera nei limiti di quanto consentito dagli strumenti di politica fiscale nazionale.
Quindi per esplicito ordine di Erdogan, la Banca Centrale di Turchia ha l’obbligo di tenere bassi i tassi di interesse (diversi analisti stimavano nel 2017 che il tasso di interesse applicato in Turchia al tempo, fosse di circa il 5% inferiore al tasso atteso di mercato).
Coerente con la propria impostazione, Erdogan nel 2015 arrivò ad accusare il suo Governatore, Erdem Basci, di tradimento. Cosa proponeva Basci? Di aumentare i tassi di interesse per combattere inflazione e svalutazione della Lira Turca.
Perchè Erdogan vuole una politica di finanza islamica?  
I. Perchè i tassi di interesse bassi favoriscono alta inflazione e svalutazione, ovvero diminuzione della capacità di spesa ed indebitamento delle famiglie e delle imprese turche verso l’estero, specie occidentale, orientandole al mercato interno o al più a mercati “amici”. In tal modo contribuiscono doppiamente agli scopi del governo; minor debito estero e maggior domanda interna per prodotti “Made in Turkey” ( o al limite ai meno costosi prodotti non occidentali).
II. Inoltre, con i propri precetti, la finanzia islamica, consente di guidare la concessione di credito per prodotti e progetti Halāl, evitando quelli “impuri” (Haraam). Questo consente di dare una copertura “nobile” alle scelte dirigiste, autarchiche e austere del governo.
III. Il diminuito accesso al mercato dei capitali tradizionale, consente al regime anche un crescente controllo dell’economia e dell’industria, attravero l’uso “politico” di strumenti finanziari Halal.
Uno strumento è il Mudarabah, ovvero una tecnica di condivisione di profitti e perdite, nel quale un socio di tipo Rabb-ul-mal (ovvero dormiente), funge da prestatore e un altro socio Mudarib (gestore/esperto), offre le proprie competenze e capacità gestionali.
Un altro strumento utile potrebbe essere il Musharakah (joint venture) ove, a differenza del Mudarabah, entrambi i soci contribuiscono parte del finanziamento.
Pensate nel ruolo di Rabb-ul-mal lo stato o banche da questo controllate e l’industria come Mudarib, e capirete come lo stato, controllando i canali finanziari potrebbe aumentare il proprio asfittico controllo sull’economia (e di conseguenza sulla società).
Infine i diminuiti investimenti occidentali possono essere presentati, alla bisogna, anche come un altro esempio di occidente cattivo e razzista. Propaganda di cui il regime si nutre.
IV. Perchè in una visione islamica dell’economia, ovvero meno business e approccio più sociale, è utile a fare “proselitismo socio economico”, usando i ritorni occupazionli degli investimenti pubblici come bacino di consenso clientelare. Oppure fare redistribuzione di reddito (clientelare), sempre presentando la decisione come “etica ed islamica”, utilizzando forme di assistenza di tipo Qardh-ul Hasan, ovvero “prestiti benevolenti” e senza tassi di interesse. Forme evidentemente più semplici da adottare per enti statali o aziende a controllo statale, sia a beneficio della cittadinanza che dei dipendenti.
V. Perchè l’economia turca è di tipo “know-who” e non “know-how”. Insomma, chi è fuori dal giro non ha grandi speranze. Il governo non si è fatto nè si fa scrupoli a negare il supporto anche a grandi gruppi, qualora non siano allineati;
Nel 2011, il 44% degli appalti pubblici veniva deciso da burocrati non soggetti a vincoli di trasparenza. Trend che peggiora.
VI. Nel periodo successivo all’intervento del FMI in Turchia, la crescita del PIL registrava un andamento eccezionalmente positivo, circa il 7% annuo.
Dovuto anche al rigore fiscale ed alle speranze di entrata del paese nella UE. Ma dovuto anche al boom dell’export verso i mercati del Medio Oriente, della ex Unuone Sovietica (Russia inclusa) e del Nord Africa. Boom del quale in Turchia non si è persa memoria.
Di colpo, fra Primavere arabe e lungaggini con la UE, il tutto è venuto meno. Aumentando il risentimento popolare verso USA e UE e diminuendone l’importanza politica come partners.
VII. La Turchia ha un’industria ampia, fornitrice di prodotti di qualità affidabile, ma “povera” in termini di ricerca e sviluppo, branding e marketing.
Di conseguenza il contenuto hi-tech dell’export turco è fermo ad un misero 2% sin dal 2002!
Insomma, i prodotti turchi sono più innovativi per mercati quali il M.O., la Russia, l’Asia e l’Africa piuttosto che l’Europa. Inoltre una Lira svalutata aiuta l’export di beni poco hi-tech per l’occidente ma buoni altrove, specie verso paesi con limitata capacità di spesa, ove i beni turchi saranno sempre benvenuti.  
VIII. Erdogan, archiviate le speranze di far parte della UE e memore dell’importanza passata dei mercati di M.O, Russia, Asia ed Africa, ha deciso la svolta: meno Occidente, più Oriente, più Cina, più Africa. Più Turchia sulla cartina geopolitica.
Svolta (o rivoluzione) di proporzioni enormi, quasi inumane, che richiede tempo e sforzi finanziari e industriali notevolissimi. Ma della quale il governo turco era certo, al punto da sfidare apertamente l’occidente.
MA...
Ed ecco arriva il Congresso del PCC e l’ammissione di Xi. Appaiono le voci sui piani russi nel caucaso e in M.O., le strategie USA che più che ragionate, sembrano lo stratificarsi di errori e miopia. L’opinione pubblica europea ormai disgustata da Erdogan, la leadership europea divisa e pronta a compromessi in nome dell’interesse economico di breve termine. I paesi del lato Sud-Est abbandonati a se stessi. Scenari complicati, che rendono la posizione turca molto pericolosa, instabile, incerta.
La sgradevole sensazione dei turchi di essere diventati, improvvisamente, da centro del mondo, a pedina spendibile per tutti.
Da qui la necessità della strategia del “o la va o la spacca”, tutta all’attacco, nella speranza di prevenire lo scenario temuto: Putin solo al comando in Medio Oriente, senza una Turchia che possa offrire contropartite significative (ovvero vittima predestinata).
Le otto variabili complicate e la tela di Penelope made in USA; il ruolo di Mosca
Ci sono molte complicazioni che si riflettono nella situazione del tutto fluida e aperta a repentini cambi che osserviamo su base giornaliera.
I. Russia vs Turchia nel futuro. Un corridoio caucasico a spese di Ankara?
Una prima complicazione è lo scenario di un confronto futuro fra Turchia da una parte e Russia, Armenia, Iran e Siria dall’altra, per il controllo delle risorse di idrocarburi e di accesso al Mediterraneo. Con un occhio alle riserve azere in Mar Caspio.
Alla Russia poi un’idea di un corridoio che da Murmansk arrivi, senza soluzione di continuità fino a Tartus, piace assai. Grantirebbe profondità strategica e logisitica a Mosca, eviterebbe l’odioso “choke point” dei Dardanelli, farebbe di Mosca il grande fratello del M.O. e probabilmente di mezzo Mediterraneo.
Per raggiungere tale continuità servono due cose: assoggettare (che è concetto diverso da conquistare) l’Azerbaijan e creare un’area cuscinetto in territorio turco, nell’estremo oriente abitato da minoranze curde, non troppo innamorate di Mosca, ma rancorose verso la NATO e, ovviamente la Turchia.
Area cuscinetto che potrebbe assomigliare a quanto successo in Sud Ossezia, nel Donbass, in Abkhazia. I precedenti non mancano. Minoranze, omini verdi (che già circolano...) e convogli umanitari. Pressioni in Siria, pressioni interne, pressioni ad Est. Potrebbe Ankara aver ragione di troppi avversari su troppi fronti? Afrin parrebbe suggerire il contrario.
II. La scelta cinese e le sinergie con la Russia
La Cina, alleata dei due gruppi, dovrà fare una scelta ed Erdogan sta comprendendo che tale scelta non sarà a suo favore. 
Cina e Russia stanno procedendo a massicce integrazioni nei settori minerario, estrattivo, energetico, stanno lavorando al nuovo PetroYuan, stanno muovendosi per l’IPO di Saudi Aramco.
Inoltre la Russia con la propria capacità militare in Europa, Artico e M.O. compendia perfettamente lo sforzo militare cinese in Asia e negli oceani Pacifico e Indiano.
I due giganti insieme possono trovare sinergie militari importanti, che liberano risorse (scarse) per altri obiettivi comuni, non meno importanti per la costruzione di un nuovo ordine mondiale meno occidentale.
Processo che sta anche diminuendo il flusso di finanziamenti cinesi verso Ankara.
III. Erdogan non ha diritti legali su risorse da offrire alla sinergia sino-russa.
Cosa può offrire l’inaffidabile Erdogan davanti a questa strategia energetica (e non solo) di Cina e Russia, non avendo alcuna risorsa propria? Quelle cipriote e quelle in Rojava!! che però, anche quelle, non appartengono alla Turchia. Conquistarle, ma a quela prezzo?
Primo, la legalità internazionale. Secondo, lo spostamento di Grecia, Cipro e Kurdistan verso la Russia. I segnali non mancano, sottolineati dall’Ambasciatore USA ad Atene Jeremy Pyatt, così come l’imponente attività moscovita, a vari piani, in tutto il quadro geografico, Egitto e Libano inclusi.
Una partita importante, come già detto, la giocherà anche il risentimento anti NATO dei curdi, che hanno capito che non avranno mai una patria vera, non in quanto terroristi, non lo sono, quanto perchè in mezzo ad un gioco altrui. Curdi però che potrebbero vdere delle situazioni “simil Crimea/Donbass” a proprio favore, dentro e fuori i confini turchi.
IV. USA, non bastano le risorse per tutto, evitare di perdere Erdogan. Europa debole, divisa e disarmata. Un insperato aiuto al Sultano. Mosca e Pechino annotano l’inaffidabilità turca....
A complicare ancora il quadro, il fatto che gli USA, sempre meno in grado di supportare efficaciemente uno sforzo su diversi fronti, pressati dall’ espansionismo cinese ad Est, hanno capito che il lato Sud della Nato non funziona senza la loro presenza fissa, o senza un aumento di impegni finanziari (2% del PIL in spesa militare) e politici che non si vedono ancora.
Dilemma: se la UE cede a Erdogan, come nel caso di Saipem 12000, cosa succederebbe contro i molto più potenti russi e cinesi? Meglio non pensarci. Anzi, meglio pensarci eccome.
Ecco che di colpo, gli USA si sono trovati nella condizione di doversi avvicinare a Erdogan, essendo la Turchia un partner inaffidabile da un lato, ma troppo importante da perdere dall’altro.
Così facendo gli USA, come spesso accade loro, hanno generato un’ulteriore complicazione, dando un insperato supporto alle ambizioni e minacce di Erdogan. Erdogan gadisce ma non gradiscono a Pechino e Mosca i continui giri di Walzer e si chiedono che futuro possa avere una delega ad Erdogan dei loro interessi.....
V. Erdogan cerca stampelle e si morde la coda da solo.
Supporto USA che Erdogan prova a spendere anche verso la UE (EEZ cipriota e greca e conseguenti ripercussioni sulla sicurezza ed autonomia energetica futura, minaccia migratoria, espansionismo balcanico) per offrire un po’ di stampelle alla propria traballante situazione. Quali?
Impossessarsi di parte dei giacimenti ciprioti e garantirsi un peso “energetico”. Impossessarsi di territori contingui a quello turco e possibilmente da “turchizzare”. Insomma due carte da giocare su tanti tavoli:
Sul tavolo europeo, controllando a mezzo TAP/TANAP e Bacino Levantino gran parte delle forniture di gas, con un evidente potere di minaccia da sfruttare per ottenere ricche prebende;
Sul tavolo sino-russo avendo riserve da offrire allo sforzo comune del PetroYuan e del nuovo benchmark petrolifero cinese;
Sul tavolo solo russo, controllare parte del corridoio terrestre fra Murmansk e Tartus. Oltre al proprio oriente anatolico, anche una buona fetta di Rojava che via Afrin e Idlib possa creare la continuità territoriale e logisitca con Tartus. Quindi prevenire le mire o necessità territoriali moscovite in tal senso;
Sul tavolo USA, indebolendo i piani di Mosca e Pechino.
VI. L’Azerbaijan e l’offerta che non si può rifiutare. Turchia senza risorse e lo svuotamento della posizione strategica di Ankara. All’attacco, è questione di vita o di morte!
Erdogan ha montato una situazione esplosiva al proprio confine Sud e al proprio interno (curdi, armeni, cripto cristiani...). Ha dunque bisogno, al di là della retorica ad uso interno, del Kurdistan in mano USA, perchè se il Kurdistan risentito, si spostasse in area russa o filo russa, sarebbe molto scuro il futuro turco. E quindi collabora a “neutralizzare” la minaccia sia in Siria che in Iraq.
Se i curdi si spostassero definitivamente in area russa, anche l'Azerbaijan si troverebbe in difficoltà estrema, stretto fra Armenia, Russia, Kurdistan e Iran e col dilemma di schierarsi contro Ankara, pena la spartizione del proprio territorio, con annessa EEZ caspica, causa "crisi umanitarie di minoranze ribelli". In compenso potrebbe ricevere una bella contropartita cinese per l’acquisto di gas. Gas che non andrebbe più in Europa.
Senza gas azero Ankara perderebbe in prospettiva anche lo status di “host” di pipelines e una leva importante contro l’Europa: il TANAP/TAP e la minaccia energetica.
Il TANAP però ha una portata di 20 miliardi di metri cubi di gas/anno. La stessa portata guarda caso è prevista, a pieno regime, per l’Eastmed. Ovvero, l’Eastmed e le nuove stazioni LNG nel bacino levantino sarebbero una mina ulteriore per la posizione geostrategica turca e per la leva di “minaccia energetica” a disposizioine di Ankara.
E questo dobbiamo aggiungere le riserve ancora non sfruttate a sud di Creta (Herodotus), della Grecia ionica, dell’Albania, dell’Adriatico.
Tutti motivi in più per Ankara di cercare di controllare le risorse in Rojava e al largo di Cipro. Più riserve controlla, meno il paese è sensibile alle minacce ai propri confini sudorientali e più ha carte per giocare il proprio azzardo pokeristico. E quindi Ankara si trova costretta a passare all’offensiva.
VII.Grecia, Cipro ed Egitto
Offensiva che però, al contempo, indebolisce la possibile portata del supporto USA alla Turchia, che sta ingenerando parecchi risentimenti in Grecia, Cipro e in Egitto. Quindi anche da parte USA il supporto ad Erdogan non può essere completo, indebolendo la posizione del sultano. Pena il rafforzamento dei sentimenti filo russi nei paesi citati. Come detto poc’anzi i segnali non mancano, sottolineati dall’Ambasciatore USA ad Atene Jeremy Pyatt, così come l’imponente attività moscovita, a vari piani, in tutto il quadro geografico, Egitto e Libano inclusi.
VIII. UE “politica” dove sei? Macron il nuovo Napoleone e il Sistema Paese francese in azione
Chi ha visto la UE? La UE, sempre più divisa e sempre meno “politica”, lontana dallo spirito dei Padri Fondatori. Lo spirito che ha reso la UE amata. Oggi è ripiegata su di un approccio solo economico e finanziario del proprio sviluppo, persegue obiettivi di breve periodo, non avendo una capacità operativa effettiva, nè una visione politica unitaria. Ciò che l’ha resa molto meno attraente. L’interscambio commerciale immediato prevale sul calcolo geopolitico futuro. Una UE che ha perso lo spirito dei Padri Fondatori.
In questo quadro di debolezza, si è mosso Macron, ergendosi a difensore di Grecia e Cipro, alleato di ferro dell’Egitto.
Va notato che l’europeista Macron ha “mostrato bandiera” con la Marine Nationale, ovvero non ha mostrato la bandiera europea, ma molto significativamente quella francese.
Per un motivo: diventare il garante della stabilità dell’area, con enorme guadagno economico e geopolitico per il proprio paese (anche e soprattutto nei confontid Italia e Germania). Intanto la Francia sta firmando un accordo con Cipro e Grecia per la difesa della EEZ cipriota.
CONTINUA...





Marco Florian
 
  


 
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