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Come la sabbia di Herat, memorie di viaggio di una donna in guerra
Chiara Giannini racconta la sua esperienza di giornalista in aree di crisi mentre combatte contro le avversità della propria vita
30-12-2018 - Scrive Chiara nel prologo: “Questo libro non è una biografia, ma il racconto di guerre, vere o personali, che s’intrecciano e nel cui corso io sono la voce narrante e i protagonisti coloro che hanno incrociato il mio cammino”.
Nella sua prefazione, il direttore de Il Giornale, per cui Chiara lavora, Alessandro Sallusti, tra le altre osservazioni, dice: " ... Chiara chiede solo di poter essere se stessa. Il che, in una redazione di giornale equivale ad una mina vagante...Mi son sempre chiesto, da quando la conosco, chi diavolo fosse Chiara, ragazza dolce e impertinente. Ci combatto ogni giorno ma mi guardo bene di provare a domarla, sono sicuro che non ci riuscirei.
Avvenimenti presenti, presenti e imponenti, si mescolano con un passato non semplice da dimenticare, il cui peso Chiara sembra voler superare con la pubblicazione del libro, ”Come la sabbia di Herat, Memorie di viaggio di una donna in guerra”, quasi un atto catartico, che spesso funziona nell’aiutare la mente ed il cuore a superare inciampi dolorosi.
Mettere per iscritto le proprie paure, le ansie che non si possono allontanare per motivi i più personali, a volte aiuta a rendere meno pesante il fardello.
Ricordando gli Italiani caduti nella missione Isaf, pregando per loro insieme alle loro famiglie, parlando con commilitoni che narrano i fatti accaduti, testimoni di quelle morti di cui non ci si può dare pace, Chiara sembra quasi porre una protezione scaramantica alle sue personali situazioni.
Un’esperienza importante, il cui ricordo la fa soffrire, è il periodo trascorso chiusa, legata mani e piedi, in un reparto psichiatrico dell’ospedale di Pisa, in cui era stata ricoverata per errore, scambiata per altra persona, diagnosticata addirittura come affetta da “malattia mentale” da medici che la volevano trattenere.
…i miei carcerieri non capivano che non avevo bisogno di una medicina per la felicità, ma di una pillola che si chiamava amore”.
L’unico ad averla aiutata fu il suo primo capo redattore, Antonio, che le gridò dal cortile, attraverso la finestra socchiusa: “Chiara, tu sei lì per intervistare le malate, sei inviata in questo momento; scriverai un articolo, resisti”.
Una situazione stressante che non può non lasciare il segno, un forte ricordo ed anche gratitudine per i Carabinieri, gli unici che allora la poterono liberare dal ricovero forzato.
Altra tragedia personale, alcuni anni dopo, è la diagnosi di tumore al seno.
Le ha sconvolto la vita.
Ma Chiara è determinata, sia nella cura, sia nel voler proseguire la strada della giornalista inviata in aree di crisi; potremmo addirittura constatare che l’ha resa più forte di prima.
Intorno a questa sconvolgente situazione personale, si innescano, come in feritoie di memoria, le vicende vissute nei Paesi in cui ha svolto la sua professione: Libia, Tunisia, Libano, Afghanistan, ove la sua capacità di scrivere ha trovato materia abbondante, dai campi profughi ai militari italiani in missione.
Descrive l’incontro con i bambini dei campi profughi con una dolcezza che solo chi ha cuore sincero può provare.
E descrive il silenzio di Camp Arena, ad Herat ove si trova per raccontare la vita del contingente in Afghanistan, allorché riportano con un volo di C130-J, il caporale Tiziano Chierotti alpino avvolto nel tricolore, vittima di un attacco di talebani: “Suono di tromba. Silenzio. Il rumore del C130J è l’unico suono percepibile. Un boato che squarcia la notte, mentre in linea volo restano immobili le penne degli alpini…”.
Ricorda Manuele Braj il cui nome è segnato, insieme agli altri 53 caduti, nel monumento in piazza Italia, in Camp Arena; e ricorda Luigi Pascazio, il cui padre Angelo la chiama per dirle che non è più vita la sua, senza il figlio.
Ricorda David Tobini, caduto a Bala Mourghab nel 2011 e divenuto il suo angelo custode; ne parla spesso con Annarita, la mamma di David.
Suono di tromba, addio alle armi. Sono impressi uno a uno nel mio cuore. Le loro storie le conosco a memoria, tante volte le ho lette; un giorno farò realizzare una lapide per loro. L’ho promesso ad Annarita e ai genitori di molti dei caduti dell’Afghanistan”.
E’ un cuore ferito, quello di Chiara, colpito dalle avversità della vita, dai suoi amori finiti male, dalle sorti dei giovani caduti per onorare la Patria.
Per gli amori che l’hanno ferita ha parole di perdono, per il dolore che prova insieme ai genitori dei caduti in Afghanistan ha lacrime che condivide con loro.
Le mie guerre sono tutte qui, impresse su di me, in quella cicatrice sul seno sinistro, nella ruga sulla fronte, nella lacrima che scende quando sento il suono della tromba, in ciò che scrivo, nei ricordi”.
”Come la sabbia di Herat, Memorie di viaggio di una donna in guerra”
di Chiara Giannini
Prefazione di Alessandro Sallusti
Altaforte Edizioni








Maria Clara Mussa
 
  


 
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