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Che sarà delle donne afghane?
La comunità internazionale deve attivarsi prima che gli accordi tra i “potenti” stabiliscano condizionamenti irreversibili
30-01-2019 - Sei giorni sono durati i negoziati, tra i ribelli talebani e i funzionari degli Stati Uniti riuniti a Doha, capitale del Qatar, alla ricerca di un accordo che potrebbe portare al ritiro delle truppe americane dopo 17 anni di guerra.
Nei primi rapporti si legge che sono stati raggiunti i preliminari di un accordo e che una dichiarazione congiunta sarebbe stata imminente; senonché, è apparso un ostacolo a concludere le trattative: alla richiesta statunitense di un cessate il fuoco e di far partecipare funzionari afghani a trattare gli accordi.
Fino ad ora, i talebani si sono rifiutati di parlare con le autorità afghane, insistendo sul fatto che sono i talebani i veri leader del Paese e che il governo del presidente Ashraf Ghani è un fantoccio americano, nonostante sia stato eletto democtaticamente.
Gli insorti hanno chiesto che Trump stabilisca un calendario per un ritiro delle truppe statunitensi, affermando che non smetteranno di attaccare obiettivi afghani e stranieri, fino a quando tutte le truppe statunitensi non avranno ricevuto l'ordine di partire.
L’amministrazione Trump mostra di voler porre fine al ruolo degli Stati Uniti in una guerra che è costata 2.400 vite americane e miliardi di dollari; Trump stesso ha detto che vuole mandare a casa metà dei 14.000 soldati che si trovano ancora nel Paese. Ed è stato chiesto ai talebani di garantire che altre milizie, come i militanti dello Stato islamico, non possano utilizzare l'Afghanistan come base per attaccare gli interessi occidentali.
Zalmay Khalilzad, l'inviato speciale dell'amministrazione Trump per le trattative sulla pace afghana, ha affermato che i sei giorni di colloqui sono stati proficui, avendo fatto “progressi significativi su questioni vitali”, ma ha detto che ci sono "molte questioni da risolvere“ e che non ci potrebbe essere un accordo generale senza un periodo di cessate il fuoco che includa il dialogo tra gli Afghani.
Mentre si stava discutendo la situazione a Doha, gli insorti hanno continuato feroci attacchi contro obiettivi afghani, compreso un attacco mortale su un'agenzia dell'intelligence, proprio nel giorno in cui si riprendeva l'incontro con Khalilzad a Doha; quindi, hanno inviato a Doha un ex funzionario talebano anziano, Abdul Ghani Baradar, (rilasciato dopo otto anni di custodia pakistana) a guidare i colloqui.
Zalmay Khalilzad ha lasciato Doha sabato 26 gennaio scorso e si è recato a Kabul per le consultazioni. In diversi tweet, ha affermato che i sei giorni di incontri sono stati "più produttivi di quanto non siano stati in passato. Abbiamo fatto progressi significativi su questioni vitali“.
"Non è stato concordato nulla finché non sarà concordato tutto“, ha twittato.
La questione è evidentemente tutta da stabilire e non sappiamo quale argomento potrà essere determinante per far scattare la molla che stabilisca la tregua e porti alla pace in Afghanistan.
Tra tutti gli argomenti che hanno posto sul tavolo delle trattative, ci sarà la situazione che riguarda le donne afghane? Temiamo di no.
Non siamo fiduciosi che si sia discusso dei diritti della donna nel Paese.
Le prime ad aver timore sull’abbandono del territorio da parte della coalizione internazionale sono proprio loro, che da decenni sono relegate ad un ruolo prettamente di schiave della volontà maschile.
//www.cybernaua.it/photoreportage/reportage.php?idnews=6852
Conosciamo bene la mentalità degli integralisti talebani, diffusa in tutto l’immenso territorio afghano, dal più lontano e sperduto villaggio tra i monti, alle sacche numerose di popolazione sparse nelle città, alle tribù legate alle antiche “feroci” tradizioni che negano alla donna qualsiasi diritto ad essere una persona, con le proprie capacità di intendere e di volere.
Ricordiamo i nostri numerosi incontri con Maria Bashir, Procuratore al tribunale di Herat durante il governo Karzai e che era in prima linea nella difesa dei diritti delle donne; ci "supplicava" di non lasciarle sole, di non abbandonare le nostra attività di supporto alla loro causa.
Temiamo il peggio. La comunità internazionale deve attivarsi, anticipando azioni che siano a favore della situazione femminile nel Paese, prima che gli accordi tra i “potenti” stabiliscano condizionamenti irreversibili.



Maria Clara Mussa
 
  


 
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