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foto di: archivio cybernaua
Qassim Suleimani: effetti collaterali
Il parere di Mario Arpino su quanto accaduto a Baghdad e quali potrebbero essere ripercussioni in Italia
04-01-2020 - Qassim Suleimani, comandante della Forza Quds (Gerusalemme) delle guardie rivoluzionarie paramilitari iraniane (gruppo strutturalmente più robusto delle forze regolari) e Abu Mahdi al-Muhandis, definito terrorista dagli Usa, sono stati uccisi in un attacco con drone statunitense vicino all'aeroporto di Baghdad.
Subito in piazza migliaia di iraniani hanno accusato Trump gridando morte all’America.
Sciiti iracheni in piazza, soprattutto a Baghdad. L’ambasciata americana, per alcune ore sotto assedio, ha sollecitato i propri cittadini a lasciare l’Iraq immediatamente. Anche le compagnie petrolifere straniere nella regione di Bassora, vicino al confine con Iran, hanno ordinato l’evacuazione di decine di dipendenti.
Sono state innalzate le misure di sicurezza dei contingenti nei teatri operativi dove sono impegnati anche i soldati italiani e “limitati al minimo gli spostamenti al di fuori delle basi”.
//www.cybernaua.it/news/newsdett.php?idnews=7743
Ne parliamo con il generale Mario Arpino, già capo dell’Aeronautica dal 1995 al 1999 e poi della Difesa, sino al 2001.
Generale, quale situazione si prospetta per il futuro?
Credo che la situazione vada osservata sia nell’immediato, dentro e fuori l’Iraq, sia nella proiezione di medio e lungo termine. Negli Stati Uniti sarà Donald Trump a guadagnarci, in entrambi i casi. Agli americani, democratici o repubblicani che siano, l’Iran è sempre risultato indigesto. Con l’uccisione di Suleimani il presidente da un lato ha mandato a carte quarantotto i piani della parte più oltranzista, che fa capo a Khamenei (fautore dell’espansione della mezzaluna sciita), mentre dall’altro, essendo sotto impeachment e prossimo al rinnovo del mandato, ha guadagnato punti in patria. Ben sapendo che, agendo così come ha fatto, più le cose si complicano all’esterno, più e’ probabile un’attenuazione dell’ostilità sul fronte interno. Il rinforzo in Iraq tuttavia è indispensabile: l’assedio all’Ambasciata di Baghdad gli avrà sicuramente ricordato il danno politico (interno ed esterno) derivato dall’uccisione del Console Generale a Bengasi e lo smacco elettorale per il secondo mandato di Carter come conseguenza della lunga occupazione, con ostaggi, dell’Ambasciata a Teheran nel 1979.
In Iraq al momento non dovrebbe cambiare nulla: morto un capo dei Pasdaran e morto il suo vice, Teheran ne ha già nominato un altro, per continuare l’opera. Con diverso carisma, però, e con meno capacità strategica. Va ricordato che oltre il 60 per cento degli Iracheni sono sciiti e che i loro ayatollah hanno studiato alla scuola coranica di Qom, in Iran. Questo, tuttavia, non deve far pensare ad uno appassionato amore degli sciiti iracheni per Teheran: gran parte sono “patriottici”, hanno servito lealmente durante le guerre di Saddam e mal sopportano l’invadenza iraniana. Sul piano globale, l’Iran, pur stressato dalla situazione economica, dalle rivolte interne e dalla crisi petrolifera, ha minacciato vendetta. Una serie di vendette “fredde”, non immediate, episodiche, tese a colpire gli Usa in qualsiasi luogo del mondo. Ma non si possono permettere una guerra, né Russia e Cina lo permetterebbero
”.
I nostri militari chiusi nelle basi cosa possono fare?
Vigilando, faranno il proprio dovere. Bene hanno fatto il ministro Guerini e il Capo di Smd ad innalzare lo stato di allerta. Ciò vale non solo per l’Iraq, ma ovunque le missioni all’estero siano in atto. I nostri contingenti maggiori sono schierati in Iraq, in Libano ed in Afghanistan. I circa mille militari dell’operazione Prima Parthica/Inherent Resolve (chi si ricorda di Settimio Severo?) sono dislocati in parte in Kuwait (il contingente AM, con aerorifornitore, Eurofighters e ricognitori pilotati a distanza) e per la maggior parte in Iraq. Il personale dislocato a Erbil, nel Kurdistan iracheno ha il compito di monitorare l’addestramento delle forze di sicurezza curde, i famosi Peshmerga, ed irachene. A Kirkuk (dove recentemente abbiamo subito un attentato di matrice Isis), sono invece impiegati i militari del contingente interforze di forze speciali, per addestrare i militari iracheni del Servizio Antiterrorismo (Cts) e le forze speciali curde e irachene. A Baghdad c’è un’aliquota minore di militari italiani (Police task force Iraq), per monitorare l’addestramento della polizia irachena destinata ad operare nelle aree prima occupate dall’Isis.
Ragionando, si potrebbe pensare che i nostri militari in Iraq non dovrebbero essere oggetto di vendette iraniane. Non c’è alcuna ragione, se non l’appartenenza alla Nato. Tutti, in definitiva, collaborano con i militari e la polizia irachena in funzione anti-Isis, di cui anche gli iraniani sono acerrimi nemici. Come gli iraniani, le forze che stiamo assistendo sono per lo più di religione sciita, come quasi tutta la componente militare irachena dopo il rifiuto da parte dell’ex- premier sciita al-Maliki di reintegrare nell’esercito un certo numero di militari esperti sunniti, che avevano operato con Saddam Hussein. Quelli che, risentiti, avevano dato origine alla struttura militare dell’Isis. In una graduatoria del rischio da vendetta iraniana, i nostri militari in Libano e quelli in Afghanistan potrebbero essere maggiormente esposti di quelli in Iraq. Bene la decisione ministeriale di non apportare riduzioni, assai pericolose sopra tutto dove le forze sono frazionate o numericamente al limite in termini di sicurezza
”.
Quali ripercussioni possono esserci per l’Italia? 
Data per accettabile, se non scontata, la considerazione che i nostri militari in Iraq, e forse meno quelli di altri contingenti all’estero, potrebbero essere esentati dalla vendetta iraniana, per l’Italia restano possibili implicazioni di altro ordine. Se non militare, come auspicato, permangono quelle di natura politica ed economica. Noi siamo schierati perché alleati dell’America e nella Nato, ma cerchiamo di non renderlo troppo evidente. Attenuando quella che alcune forze politiche avvertono come una colpa con l’astenerci dal giudizio nei principali eventi internazionali. Come, nella fattispecie, proprio in questa occasione. Sotto il profilo politico, Pompeo ha già fatto sapere che mentre gli Stati Uniti hanno subito incassato il consenso degli Stati delle regione, <<…gli Europei non sono stati così d’aiuto come avrei desiderato che fossero. (…..) Devono capire che quello che abbiamo fatto, quello che gli americani hanno fatto, ha salvato vite anche in Europa>>.
L’Italia non è stata esplicitamente citata, ma una stretta sull’Europa in termini di dazi, sanzioni all’Iran (una loro compagnia aerea ancora sta facendo scalo da noi), collaborazione in taluni programmi industriali, supporto in Libia e Libano e un irrigidimento americano sui nostri rapporti con Russia e Cina potrebbero avere ripercussioni negative già nel breve-medio termine anche in Italia. Non culliamoci sul fatto che forse Donald Trump se ne andrà, l’America profonda lo vuole e in questo anche l’eliminazione di Suleimani lo aiuterà. “The Donald” è un elefante, come il simbolo del suo partito. Ci conviene darci una regolata, perché l’elefante, di cui potremmo in emergenza avere ancora una volta bisogno, è dotato di una memoria incredibile
”.
Il Medio Oriente da tempo è in subbuglio: si cercava forse la scusa per dare fuoco alle polveri?
Non credo che questa occasione sia stata cercata dagli Stati Uniti per dare fuoco alle polveri: il Medio Oriente è sempre stato in subbuglio, e così continuerà ad essere. Se mai si può parlare di autocombustione, dove anche l’Italia – pur essendo assente in politica estera e congenitamente timorata in politica militare – potrebbe bruciasi le dita. Mi spiego meglio. L’evento di Baghdad ha sicuramente incattivito il già intollerante Khamenei, che ora farà l’impossibile per mettere in difficoltà il più moderato presidente Rouhani.
Ciò porterà senza dubbio ad una rapida accelerazione dell’arricchimento dell’uranio, incrementando il numero delle centrifughe nei siti protetti. Gli esperti ritengono che in un anno, se non disturbato, l’Iran sarebbe in grado di disporre di materiale sufficiente a produrre in proprio una bomba atomica. I compiacenti fornitori di tecnologie non mancano e, come già per i vettori, probabilmente non abitano né in Cina, né in Russia. Pakistan e Nord Corea ne sanno qualcosa. Chi ci salverà? Solo gli israeliani sanno come fare e impediranno lo scempio con efficacia, tutti gli altri potenti staranno a guardare, ben contenti che qualcuno tolga le castagne dal fuoco
”.






Maria Clara Mussa
 
  


 
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