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Libia: si può pensare a una missione UE mentre i militari italiani sono incredibilmente respinti?
Una considerazione del generale Giuseppe Morabito, membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation
02-08-2020 - In Libia la guerra civile è in corso dal 2011 con diverse fasi d’intensità.
Le prospettive di un cessate il fuoco durevole, come condizione preliminare per una soluzione politica, negli ultimi anni non sono mai state fattive. Una missione militare internazionale per garantire la pace sarebbe stata, comunque, tecnicamente quasi impossibile. Tutto ciò potrebbe cambiare nel futuro prossimo a causa dell’attuale situazione in Libia, a seguito della quasi decisiva sconfitta dell’Esercito nazionale libico di Khalifa Haftar (LNA) in Tripolitania da parte dell'operazione sostenuta dalla Turchia e dai suoi mercenari che hanno agito in favore del Governo di Accordo Nazionale (GNA) che era stato riconosciuto a livello internazionale.
Oggi, si presenta una situazione di stallo a ovest di Sirte, la porta di accesso all’omonimo bacino ricco di petrolio sulla costa centrale del Paese.
La Turchia ha fornito un sostegno militare fondamentale alla controffensiva governativa, motivandola con propri importanti interessi economico-strategici. Gli interessi economici comprendono in particolare l'accordo marittimo turco-libico firmato il 27 novembre 2019, relativo alle zone economiche esclusive (ZEE).
Quest’accordo, sebbene illegale per gli standard della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, serve alla Turchia (ancora incredibilmente tollerata negli atteggiamenti provocatori in ambito NATO) come base per ulteriori argomentazioni sulle rivendicazioni marittime in quell’area del Mediterraneo ricchissima di gas. Al fine di mantenere quest’accordo, è necessario mantenere lo stato libico nel suo insieme e prevenire la frattura con la sua provincia orientale.
In tale quadro, il Presidente Al Sisi ha dichiarato Sirte-Al Jufra Oasis una linea rossa per l’Egitto e ha minacciato un intervento militare su vasta scala, se questa linea sarà superata dai governativi sostenuti nell’area di confine dai Fratelli Mussulmani.
L’Unione europea (UE) non è mai stata in grado di svolgere un ruolo chiave nei tentativi di stabilizzare la Libia, sebbene il Paese si trovi nelle immediate vicinanze. Ciò è in gran misura dovuto alla mancanza d’interessi strategici europei, sia comuni sia condivisi nei confronti della Libia, ad eccezione del contenimento della migrazione; ma questo soprattutto a causa dei suoi stessi errori, con il nostro Paese in testa al gruppo.
Con il suo fallito sostegno incondizionato alla ricerca di un accordo politico mediato dall'ONU e alla poca volontà di trattare con il generale Haftar, la persona più influente dell'est, l'UE ha legato le proprie mani. Le operazioni marittime dell’UE, Sophia e Irini, non hanno contribuito in modo sostanziale al contenimento della tratta di esseri umani né sono state in grado di porre fine al traffico di armi (in cui Francia, Italia e Grecia erano più, o meno, lasciate sole). Mentre la presenza turca, che rimarrà purtroppo almeno nella Libia occidentale, danneggia significativamente gli interessi dell'UE e di molti dei suoi Stati membri.
Oggi la presenza dell'Unione in Libia è prossima allo zero e la sua attendibilità rimane bassa se non nulla. Per la Turchia e il suo Presidente Erdogan il miglior risultato del conflitto sarebbe che il GNA fosse capace di espandere il suo controllo su tutta la Libia. I gruppi combattenti di Misurata e islamisti che sostengono la GNA spingono comunque ad attaccare Sirte e l'Oriente per schiacciare l'LNA, vendicarsi delle loro precedenti sconfitte a Bengasi e Derna e consentire il ritorno dei rifugiati. Naturalmente, entrambi vogliono avere accesso illimitato alle vaste risorse nella Mezzaluna petrolifera e più a est.
Logicamente Erdogan e il GNA non sono seriamente interessati a un cessate il fuoco, fino a quando l'LNA non si sarà ritirato a est, soprattutto perché sono convinti di poter sconfiggere l'LNA e prendere comunque la Mezzaluna di petrolio, sempre fatto salvo un intervento dell'Egitto che di avere terroristi Jihadisti sostenuti da Ankara al confine non ne vuol sapere.
A seguito di quanto precede, i mercenari turchi e i governativi tenteranno di continuare il loro attacco verso est, se l'LNA non si ritirerà volontariamente, il che è molto improbabile; come, ripeto, parere di molti analisti e’ molto probabile che se si supererà la “linea rossa” l'Egitto interverrà e fermerà l’avanzata.
Logicamente, per “fermare tutto” ed elemento chiave per un cessate il fuoco duraturo, è necessario un accordo sulla distribuzione delle entrate petrolifere. La percezione dell'ingiustizia dell'attuale sistema - tutte le entrate finiscono nella Central Bank of Libya (CBL) controllata da GNA - è una delle lamentele chiave nella parte orientale e meridionale della Libia. Di conseguenza, da gennaio la maggior parte delle infrastrutture petrolifere libiche era stata bloccata dalle milizie locali in coordinamento con l'LNA.
Un primo passo potrebbe essere la creazione di un conto fiduciario per le entrate petrolifere presso una banca straniera, la successiva revoca del blocco delle esportazioni e trattative su un nuovo sistema per la distribuzione dei fondi. Se funzionasse, un aumento della produzione di petrolio sarebbe nell'interesse di tutti i Libici: ciascuno di loro ne trarrebbe beneficio, indipendentemente da chi abbia il controllo fisico sulle strutture.
Sarebbe anche una buona notizia per ENI che ha la gestione di una grande quota della produzione.
Tuttavia, questo approccio è respinto dal GNA, sotto evidente pressione turca, usando come scusa le preoccupazioni per una limitazione della sovranità nazionale. Certo, anche se fosse concordato un cessate il fuoco e iniziassero i negoziati sulla distribuzione delle entrate petrolifere, è probabile un ritorno alle ostilità, se le parti belligeranti non fossero separate fisicamente. Tale separazione fisica può essere fornita solo da una solida forza internazionale di mantenimento della pace, che deve essere rapidamente disponibile.
L'UE dispone di uno strumento adeguato per stabilire una zona cuscinetto tra GNA e l'LNA con un preavviso molto breve: i gruppi tattici dell'UE (EUBG). Gli EUBG sono forze di reazione rapida delle dimensioni di una brigata in stand-by per un periodo di sei mesi su base rotazionale.
Si basano sul principio della multinazionalità, ma il nucleo è generalmente fornito da una nazione quadro. Gli EUBG sono addestrati per l'intero spettro di compiti delle forze di combattimento nella gestione militare delle crisi e devono essere schierati sotto un mandato delle Nazioni Unite.
Dal 1°luglio, un EUBG anfibio a guida tedesca e uno italo-spagnolo sono in stand-by.
Il terreno a ovest di Sirte è caratterizzato da un deserto con alcune saline e due corsi d’acqua più grandi nella direzione sud-nord. I compiti militari per le forze di pace includeranno l'istituzione e l'applicazione di una zona cuscinetto, nonché la sorveglianza dei movimenti di truppe nelle vicinanze di questa zona. Naturalmente, la forza dell'UE avrebbe bisogno anche di una componente aerea e marittima (che potrebbe concretizzarsi, con mandato questa volta serio e con compiti realmente coercitivi, nella continuazione dall'operazione Irini). Naturalmente, ci sono alcune condizioni preliminari - oltre a un mandato delle Nazioni Unite - per tale missione militare. Inizialmente, è necessario concordare un cessate il fuoco e tutte le parti in causa devono dare il proprio consenso allo spiegamento delle forze dell'UE.
I contendenti sul terreno devono concordare di ritirare la maggior parte delle proprie forze dalla vicina zona cuscinetto, dopo l'arrivo dell'EUBG. Alla fine si dovrebbe prendere in considerazione l'istituzione di una zona di non volo intorno a Sirte, che potrebbe essere implementata con velivoli in volo dalla Sicilia o da Malta e dalle unità navali (una portaerei italiana sarebbe un segnale di vitalità eccezionale).
La strategia di uscita per l'impegno militare dell'UE in Libia dovrebbe prevedere il ritiro delle forze di terra, al più tardi due anni dopo le elezioni in tutta la Libia. Tale missione non sarebbe senza rischi politici e militari. Lo spiegamento di una forza d’interposizione potrebbe essere un passo avanti verso una divisione di fatto della Libia tra la Turchia e i sostenitori del LNA, compresa la Russia.
La forza dell'UE potrebbe essere soggetta ad attacchi diretti da parte di uno dei numerosi gruppi terroristici attivi principalmente nella Libia occidentale e meridionale, compresi gli affiliati IS, AQIM, Ansar Al-Sharia e AQ. Inoltre, alcuni sostenitori della linea dura, dalla parte dei mercenari turcomanni pagati da Erdogan, credendo che l'UE stia rubando la loro vittoria potrebbero prendere di mira direttamente la forza dell'UE per spaventarli.
Nonostante i rischi, il dispiegamento di una forza militare per garantire un cessate il fuoco costituirebbe l'UE un attore serio in Libia, area di particolare importanza per l'Europa. Nel sud del Libano, una forza d’interposizione tra i terroristi di Hezbollah e Israele riesce da anni, sotto guida italiana, a mantenere l’ordine e il rispetto del mandato ONU. Una simile operazione, quindi, offrirebbe l'opportunità di bilanciare o addirittura limitare l'influenza di Turchia e Russia, qualora l'LNA non avesse bisogno dei mercenari russi da contrapporre ai tagliagole inviati da Ankara.
Infine, la stabilizzazione del conflitto sulla linea Sirte- Al Jufra servirebbe all’Egitto, poiché impedirebbe l'avanzata dei gruppi islamisti nella Cirenaica. Mantenere un punto d'appoggio a est di Tripoli sarebbe probabilmente anche "sufficiente" per la Russia a similitudine di quanto avviene in Siria. Un cessate il fuoco così duraturo potrebbe anche essere accettabile per la Turchia, a condizione che la Cirenaica non si spezzasse in due.
Sebbene in qualche modo promuovere la posizione turca in Libia non sia nell'interesse europeo, sarebbe difficile, quasi impossibile, far uscire la Turchia dalla Libia senza l'uso della forza; e questo è fuori discussione per l'Europa.
Pertanto, ha più senso che l'UE diventi un attore credibile in Libia da solo, senza appoggio fattivo della NATO che sopporta, a fatica ma comunque sopporta, il suo membro ottomano, impegnandosi seriamente e ricordando che entrambe le parti in causa dipendono comunque dai loro sostenitori internazionali. Un tale cessate il fuoco potrebbe essere stabilito sulla base di una pace globale, in concomitanza della crisi da COVID-19. Forse è arrivato il momento di dimostrare l'utilità di avere l'UE come attore credibile in Libia, nonostante il virus di Wuhan abbia distolto di molto l’interesse dei governi europei preoccupati anche dei costi dell’operazione.
Purtroppo, da Tripoli per l’Italia non arrivano buone notizie. Recentemente, gli uomini del comandante della Missione Militare Italiana (Miasit) sono stati disarmati, perché i Libici non li hanno autorizzati; questo è un chiarissimo indicatore che i Turchi non vogliono Italiani in Libia, con specifico riferimento anche a Misurata, dove sono interessati sia all’aeroporto sia all’ospedale da campo organizzato dagli Italiani.
In tale quadro di poco valore diplomatico italiano, nel pomeriggio del 30 luglio scorso, ad un Hercules C 130 decollato da Pisa atterrato a Misurata con una trentina di soldati italiani a bordo (militari del Policlinico del Celio e della Brigata Julia) è stata però negata l'autorizzazione allo sbarco da parte delle autorità libiche, perché mancava sul loro passaporto il visto d'ingresso.
Sei militari sono potuti scendere, ma altri 17 sono dovuti tornare indietro.
Ricordo che in Libia abbiamo circa 400 uomini, 142 veicoli, 2 mezzi aerei e una nave nel porto di Tripoli in appoggio alla Guardia costiera nel contrasto alle partenze dei gommoni verso l'Italia.
La mancanza di una credibile politica estera ha creato quindi questo caso di respingimento senza scrupoli, ridicolo e al tempo stesso umiliante. Umiliando un soldato italiano si umilia tutta la categoria che tanto ha dato e sta dando per il nostro Paese. Da qui nasce l’appello al ministro della Difesa Lorenzo Guerini affinché, almeno lui, faccia qualcosa per difendere la reputazione dei suoi uomini e del Paese.


Giuseppe Morabito
 
  


 
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