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Nessun aereo cinese abbattuto da Taiwan
Ma le mire egemoniche di Pechino continuano a scaldare le acque dello stretto di Taiwan
06-09-2020 - E’ stata da poche ore smentita ufficialmente dalla Forza Aerea di Taiwan la “balla”, per chi preferisce l’inglese, la “fake news’’ dell’abbattimento da parte della difesa aerea di Taiwan di un cacciabombardiere cinese, penetrato nello spazio aereo della “Cina democratica”.
Il caccia avrebbe dovuto essere un Sukhoi Su-35, di cui Pechino annovera nei suoi arsenali 24 esemplari acquisiti dalla Russia. L’aereo sarebbe poi, secondo la falsa notizia, precipitato sull’isola.
Purtroppo la “balla” è stata anche ripresa da alcuni siti d’informazione italiani che si sono affrettati a condannare il governo di Taiwan e il suo alleato USA. Una dimostrazione, come se ce ne fosse ancora bisogno, di asservimento a Pechino di larghe aree del nostro Paese e, spesso, le stesse che condannano la Presidenza Americana “a priori”.
Purtroppo la Cina comunista non ha mai rinunciato a quello che dice essere il suo diritto di "riunificare" Taiwan, anche con la forza, se i suoi “cosiddetti” mezzi pacifici fossero ostacolati. Quindi, gli eserciti di entrambe le parti devono continuamente tenersi in stato di allerta, per quanto remota una guerra possa sembrare. Negli ultimi tempi il numero di esercitazioni navali condotte dalla Cina ha destato allarme, tanto più in un momento di peggioramento delle relazioni tra Cina e America su diversi fronti. Il delicato status quo, in cui la Cina insiste che Taiwan fa parte del suo territorio, ma l'isola funziona come un paese indipendente, si sta logorando. Come afferma il Global Times, un tabloid ufficiale cinese: "La possibilità di una riunificazione pacifica sta diminuendo drasticamente“. Per fortuna, questo non significa che la guerra sia imminente.
Il 28 agosto scorso, il presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, ha partecipato all'apertura di un impianto di manutenzione per i caccia F-16 di fabbricazione americana sull’isola. Nel suo discorso, ha detto che voleva che "il mondo vedesse la nostra forte volontà di proteggere il Paese“.
Nonostante quanto precede, Pechino ha organizzato una serie di esercitazioni, definite "realistiche", su tre diverse aree marittime nello Stretto di Taiwan, sia all'estremità nord sia a quella sud dell'isola. In particolare, la stampa cinese ha descritto queste manovre come una "massiccia" esercitazione nello stretto all'inizio del mese, concepita sia come "deterrenza chiara e senza precedenti" sia come addestramento militare. Senza dubbio, con lo stesso arrogante messaggio di sfida, il 10 agosto, i caccia cinesi hanno attraversato la linea mediana nello stretto che simboleggia il confine aereo non ufficiale.
Le esercitazioni sembrano intese a ricordare a Taiwan e all'America quanto seriamente Pechino tratti la sua "sacra missione" di riportare Taiwan sotto la propria sovranità, ma anche a ostentare come la capacità militare cinese sia in rapido miglioramento. È difficile non vedere quest’ostentazione di capacità militare come parte di un approccio cinese più deciso alla sua regione. Ciò è stato evidente nel Mar Cinese Meridionale, dove Pechino ha costantemente rafforzato la presenza militare in acque contese in tutto o in parte con Brunei, Malesia, Filippine, la stessa Taiwan e Vietnam. Le rivendicazioni della Cina sul controllo del mare sono state, comunque, già respinte sia da un tribunale internazionale nel 2016 sia, proprio il mese scorso, da Washington.
La Cina è molto sensibile a qualsiasi indicatore che l'America stia migliorando le relazioni con Taiwan; ad esempio, avendo contatti ufficiali con il suo governo. Ciò è stato evidenziato particolarmente sotto la presidenza di Donald Trump, che ha subito accettato una chiamata di congratulazioni da parte della signora Tsai dopo la sua elezione nel 2016. Nelle ultime settimane un membro del gabinetto di Trump, Alex Azar, il segretario alla sanità, ha visitato Taiwan e ha incontrato la Presidente Tsai (apparentemente creando le condizioni per l’ennesima provocazione di Pechino che ha organizzato in quelle ore di visita un’incursione di un jet da combattimento nello spazio aereo di Taiwan). Ancora più preoccupanti, dal punto di vista della Cina, sono gli appelli di alcuni politici ed ex funzionari americani affinché il governo si impegni più chiaramente a difendere Taiwan. Al momento, tale difesa è vincolata solo da una legge approvata nel 1979 che s’impegna a “considerare qualsiasi sforzo per determinare il futuro di Taiwan con mezzi diversi da quelli pacifici, inclusi boicottaggi o embarghi, una minaccia alla pace e alla sicurezza dell'area del Pacifico occidentale e di grave preoccupazione per gli Stati Uniti”.
Nel suo libro di memorie pubblicato quest'anno, John Bolton, uno dei consiglieri per la sicurezza nazionale licenziati da Trump, ipotizza che Taiwan potrebbe essere il prossimo alleato americano ad essere “scaricato” dal suo ex capo. Come ha affermato questo mese un commentatore del Global Times: "Taiwan per gli Stati Uniti è solo un pezzo degli scacchi negoziabile“. Dopo tutto, il presidente Trump ha sempre messo "l'America al primo posto".
Le concessioni commerciali gli sono sempre sembrate più importanti delle alleanze. Credere anche a Bolton si può, ricordando però che ha scritto tutto questo dopo essere stato esautorato.
Guardando un'America consumata dal Virus di Wuhan (sempre un “regalo” cinese), una per ora limitata crisi economica e una feroce campagna elettorale che è improbabile che possa sanare le ferite politiche con Pechino, ma si può, comunque, forse più realisticamente ipotizzare che la sua disponibilità a combattere per difendere la libertà di Taiwan sia destinata a diminuire. La Cina, al contrario, non ha elezioni, ha sconfitto la “autoprodotta” pandemia ed è tornata a una, seppur minima, crescita economica; e considera Taiwan non negoziabile. Vedremo cosa accade dopo le elezioni di Novembre.
Facendo specifico riferimento proprio alla pandemia da Virus di Wuhan, gli esiti tragici degli errori di Pechino hanno, si spera, reso la comunità internazionale profondamente consapevole dell’ingiusta esclusione e discriminatoria di Taiwan dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e dal sistema delle Nazioni Unite. La Repubblica Democratica di Cina e, in particolare, il governo di Taipei democraticamente eletto continuano a fare pressioni sull'ONU affinché ponga fine al blocco di Taiwan che, ricordiamolo sempre contro ogni falso storico o balla mediatica (pare tutto sia possibile dopo di quella dell’abbattimento), non è mai stata parte della Cina Popolare. Il Presidente e il parlamento di Taipei sono eletti direttamente dal popolo di Taiwanese chiedono, con forza e a ragione, che l'ONU riconosca che solo il governo eletto di Taiwan può rappresentare i suoi 23,5 milioni di persone.
In sintesi, Pechino non ha il diritto di parlare a nome di Taiwan.



Giuseppe Morabito
 
  


 
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