09:48 giovedì 28.03.2024
Forti, coraggiosi combattono per raggiungere lo scopo: riappropriarsi il territorio del Kurdistan
Il programma dei Curdi è semplice: riconquistare le proprie terre e riportare la regione agli originali confini
fotografie di: Daniel Papagni

06-07-2016 - L’appuntamento è nell’hotel ad Erbil.
Il generale Muhamad Assad Khoshawi, nome di battaglia “Buttin” www.cybernaua.it/news/newsdett.php?idnews=4901 ci offre un passaggio sulla sua auto, per portarci al fronte, dove sta recandosi per incontrare i suoi soldati Peshmerga, che fanno parte del Barzan Army, con L’Esercito Zeravani.
Un viaggio sotto il sole, in strade a noi sconosciute, che attraversano campi di grano appena raccolto e già con le stoppie roventi, come è tradizione per rendere il terreno “pulito” da ogni eventuale parassita e pronto per accogliere le nuove sementi.
La destinazione è il villaggio Sultan Abdullah, luogo situato sulla frontline a circa due chilometri dalla linea occupata dal Daesh e presidiato dai Peshmarga.
Con noi l’elmetto ed il giubbotto antiproiettile, che dovremo indossare quando saremo insieme a loro.
La prima tappa è a metà strada, ove incontriamo il generale Bahzad Barzani, che ci invita ad entrare nella stanza in cui accoglie i comandanti per il briefing.
All’ingresso della stanza lasciamo le calzature, seguendo l’esempio di coloro che entrano.
Rudi soldati, ma il tappeto all’interno del luogo non va calpestato con gli scarponi.
Siamo accolti con cordialità: il bicchiere d’acqua e di té offerto dai soldati al fronte rimane un indelebile ricordo del profondo senso dell’ospitalità di questa gente, armata e pronta a morire per la difesa della propria terra, ma gentile nei confronti di chi, gentilmente, entra nella loro casa.
Barzani è seduto in fondo alla stanza, riceve gli ospiti ed i suoi soldati che lo ammirano e salutano con il rispetto che si deve ad un uomo carismatico.
Poche parole, ma sguardo diretto che dimostra di comprendere immediatamente chi e con chi sta scambiando il saluto.
Prima del briefing, estende l’invito a pranzo a noi giornalisti; seduti insieme a loro, apprezziamo il cibo che rappresenta il menu quotidiano dei soldati al fronte: un rito semplice, in cui si comprende l’essenzialità dei gesti utili alla sopravvivenza; subito dopo si lavora.
Saluti, ringraziamenti rapidi; usciamo perché Barzani chiama i suoi per il briefing.
Sappiamo che stanno preparando l’attacco; ma non sappiamo né dove né quando.
E’ il 30 maggio, la battaglia avverrà tra pochi giorni. Lo sapremo ad operazione avvenuta.
Riprendiamo la strada verso Abdullah, insieme a Buttin, che si offre come interessante Cicerone.
Le strade polverose che percorriamo per raggiungere il fronte conservano ai lati la memoria di bombardamenti e incendi; villaggi, in cui erano insediati arabi secondo il programma di arabizzazione voluto da Saddam, ora distrutti e abbandonati.
Il programma dei Curdi è semplice: riconquistare le proprie terre, riportare la regione agli originali confini, senza occupare ulteriori territori, ma riappropriarsi quelli che considerano curdi e solo curdi.
Accogliendoci con sorrisi, bicchiere d’acqua e di tè, i Peshmerga del fronte Abdullah ci mostrano come il Daesh, che agisce a circa due chilometri in linea d’aria, compia attacchi con armi e munizioni di vario tipo e colpi di mortaio.
I Peshmerga si adattano; recuperano armi, accettano con gratitudine le attrezzature che i nostri Carabinieri hanno loro fornito, tra cui maschere antigas, che Buttin ci mostra come vengono usate. Ma ancora non è sufficiente.
Uniformi le più disparate vestono i soldati al fronte, in attesa di ottenere adeguati abbigliamenti, adatti anche al cambio di stagione, nonché tute NBC (anti aggressioni Nucleare Biologica Chimica).
Per ora, ci riferisce Buttin, a detta del contingente italiano che in Erbil svolge i programmi di addestramento ai Curdi, sino a che non avranno completato l’addestramento, sino a che non saranno dotati di sistemi di protezione adeguati, possono soltanto operare in modo limitato.
Dopo saluti e stretta di mano vigorose, lasciamo la linea di fronte Abdullah.
Ci rechiamo a Nassen Village, altro luogo di frontline, contro cui il Daesh a intermittenza lancia colpi di mortaio, ricevendo in risposta anche bombardamenti da parte di aerei Usa e di elicotteri Apaches, a cui assistiamo e neanche troppo da lontano, che intervengono a sostegno dei Peshmerga.
Dalle feritoie, attraverso cui i soldati controllano senza sosta le attività dei neri del Califfato, osserviamo il “panorama”.
Imponente nella sua tragica situazione, vittima di una guerra che si compie con ogni mezzo a disposizione e per continuare la quale in modo vincente non sono sufficienti i “Milan”, per quanto siano efficienti; anche il “Dragunov” è usato, arma russa con cui “posso centrare il bersaglio a circa 1.300metri di distanza”, ci dice lo Sniper dal cappello da esploratore, facendoci anche provare il peso e la consistenza dell'arma.
Ma non bastano.
Lasciamo il luogo dei combattimenti, con la promessa di parlare di codesta guerra contro un nemico senza volto, che costringe a percorrere le strade con le armi appoggiate al sedile dell'auto e con l'attenzione sempre alta verso un ignoto e possibile attacco.
Il Daesh, che è composto da “terroristi, gente malata sanguinaria”, come li definiscono i Curdi, opera in modo asimmetrico e soprattutto con ogni mezzo a disposizione.
Così anche dichiarano gli esperti della geopolitica.
I Peshmerga sono coraggiosi, forti e pronti a morire, ma chiedono di non essere lasciati soli.
Maria Clara Mussa


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