07:47 venerdì 29.03.2024
Kurdistan, potenzialità e punti di debolezza
L’industria petrolifera fornisce ancora il fattore portante, ma il prezzo del petrolio è in calo
fotografie di: Cybernaua

05-08-2016 - Il decennio dal 2003 al 2013 è stato un periodo di relativa stabilità e di forte crescita per l’economia del Kurdistan.
Dal 2014 la crescita si è fermata ed è sopraggiunta una profonda crisi, le cui cause principali sono la necessità di far fronte al massiccio afflusso di profughi siriani in fuga dalla guerra civile e, successivamente, l’arrivo di sfollati interni provenienti dalle principali città irachene.
L’emergenza umanitaria di enorme portata contribuisce allo stallo economico. Oltre 2milioni di rifugiati su una popolazione di 5 milioni di abitanti.
Dalla metà del 2014 si è sovrapposta la minaccia militare diretta dello Stato Islamico. La stabilità raggiunta nel corso dell’ultimo decennio ha consentito al governo curdo di avviare un importante processo di ammodernamento e ricostruzione delle infrastrutture regionali, assorbendo anche parte della forza-lavoro che affluiva dall’Iraq in guerra e dalle altre regioni popolate dai curdi nel Medio Oriente.
Ad Erbil è stato costruito il primo aeroporto internazionale del Kurdistan, con lo scopo dichiarato di attrarre più visitatori nella regione (la capitale ha una popolazione di oltre 1 milione di abitanti ed è la quarta città più grande dell’Iraq).
L’unico elemento di solidità è l’industria petrolifera la cui rendita, seppure in contrazione a causa del calo del prezzo del greggio, fornisce ancora il fattore portante.
Fonti vicino al Governo affermano che il margine per ogni barile di petrolio sarebbe del 17%.
Il settore delle costruzioni e dei servizi, sempre da due anni, si è quasi del tutto arrestato. A testimoniarlo sono i cantieri edili sparsi sul territorio totalmente deserti solo con qualche eccezione, come, ad esempio, l’imponente palazzo della Borsa ad Erbil. Il problema principale del mancato sviluppo è da imputare alla pressoché inesistente differenziazione dell’economia che a reso il Kurdistan ostaggio dell’andamento delle esportazioni petrolifere. In tale scenario, vale a dire quello quadro economico già sufficientemente compromesso, pesa il balzo del debito pubblico passato di recente dallo zero al 20% del PIL e la conseguente debolezza delle finanze pubbliche culminata di recente nell’insolvenza degli stipendi del settore pubblico, incluso l’esercito. E’ utile ricordare che oltre un quinto della popolazione curda dipende interamente da tale forma di reddito assorbendo circa il 70% della spesa del Governo.
Gli investimenti esteri sono, allo stato attuale, fermi o congelati a causa delle forti incertezze.
Innanzitutto, una delle cause è la guerra in corso; ricordiamo che poco più di un anno fa il Daesh era arrivato a pochi chilometri da Erbil; altra causa è l’instabilità interna: il Kurdistan due anni fa si trovava sull’orlo della guerra civile, per il forte contrasto fra le due grandi famiglie: Barzani e Talabani.
La guerra contro l’Isis ha ricompattato lo scontro che rischiava di degenerare, unendo le due fazioni familiari a cui fanno capo i due principali partiti: il PDK (Partito Democratico del Kurdistan guidato dall’attuale Presidente Masoud Barzani) e il PUK (Partito dell’Unione Patriottica Curda guidato dal patriarca Jalal Talabani). A pesare altresì sullo scetticismo degli investitori esteri è la mancanza di riforme del settore dei servizi e dell’istruzione, indispensabili per creare un mercato del lavoro flessibile e vario.
Ecco perché un Paese con straordinarie potenzialità e ricco di risorse naturali, prime fra tutte petrolio e acqua, non riesce a decollare.
A ciò va aggiunta la mancanza di un’industria forte, motore indispensabile per creare ricchezza e un’agricoltura estremamente scarsa, ancora poco condotta in modo razionale e in buona parte arretrata. La maggior parte dei prodotti agro-alimentari indispensabili al fabbisogno interno è importata.
Con un paragone forse azzardato, potremmo dire che il Kurdistan rischia di finire come il Brasile, un Paese che nonostante le grandi potenzialità è rimasto vittima delle proprie dinamiche perverse che ne hanno impedito la crescita e lo sviluppo.
Federico N. Manzella


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