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La città violata
Qaraqosh, città irachena dove tutto è distrutto, tutto dello stesso colore della violenza e della morte
fotografie di: Daniel Papagni

26-12-2016 - Lasciamo Erbil, capitale del Kurdistan, alle 8 di mattina, insieme ad abouna (padre) Yako, per recarci a Qaraqoosh, la città irachena in cui, prima delI’occupazione da parte del Daesh, abitavano circa 60mila cristiani.
Ci accompagna Caris, un cittadino di Qaraqosh, con la sua automobile.
Durante il viaggio, Yako ci dà la sua versione di quanto accaduto nel territorio del Kurdistan iracheno, affermando che i Curdi, che inizialmente non avevano armi, ma sono entrati in possesso di quelle di Saddam Hussein dopo la sua eliminazione, non vogliono far parte del’Iraq; essi vogliono difendere esclusivamente la propria regione.
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Lungo la strada attraversiamo alcuni check point controllati dai Peshmerga.
Quindi, dobbiamo fermarci ad un luogo di sosta obbligata, ove richiedere i permessi di ingresso nella città distrutta.
Una folla è già in lunga attesa per ottenere il foglio di permesso, non concesso a tutti i cittadini che vorrebbero ritornare nelle proprie case per vedere cosa di queste è rimasto, a causa della situazione pericolosa del luogo. Qaraqosh è disabitata, ma ancora cecchini sparano e rimangono zone in cui si trovano disseminati ordigni esplosivi, che inducono le autorità irachene a non rilasciare facilmente permessi.
Ottenuto il nostro lasciapassare riprendiamo il viaggio, raggiungendo il ponte sul fiume Zab, distrutto dal Daesh ed ora in fase di ricostruzione.
Mentre attraversiamo terreni sconvolti dalle battaglie, notiamo trincee, gli ultimi baluardi del Califfato costruite per impedire l’ingresso all’esercito iracheno.
Ai lati della strada alcuni paesi non appaiono devastati, perché non cristiani, ci fa notare abouna Yako, le case dei Sunniti sono state risparmiate dal Daesh; osserviamo una centrale elettrica usata dai devastatori, mentre il grande edificio dell’Università è stato distrutto ancora prima di essere inaugurato: se sei cristiano non hai diritto di esistere; e questo è il vero Islam, dice Yako, continuando:
“Chi ha devastato e distrutto le case dei cristiani, sono i “vicini di casa”, gli abitanti dei villaggi che prima sembravano amici, poi si sono affiliati al Daesh”.
Entriamo in Qaraqosh, distante circa 25 chilometri da Mosul.
Lo spettacolo è terrificante: impossibile immaginare cosa possa fare l’essere umano nel proprio impeto di distruzione e violenza.
Caris ci accompagna nella zona in cui risiede, per mostraci la sua abitazione.
Che non è distrutta totalmente perché occupata dal comando del Daesh e usata come quartier generale. La conferma ci viene dal ritrovamento di documenti dei terroristi, fogli di loro pubblicazioni, pagine scritte a mano, che inducono Yako a sostenere che “dalla calligrafia si può dedurre che non erano degli ignoranti”…
Continuiamo a visitare abitazioni, in cui possiamo entrare invitati dai proprietari, quei pochi che hanno ottenuto il permesso.
E’ una famiglia di “benestanti”, proprietari di una villa moderna, ma profanata perché di cristiani.
Rovistano nelle proprie cose abbandonate, bruciate, travolte dalla violenza e dalla perversione disumana.
Parliamo con Yussef, un ingegnere che a Qaraqosh aveva il proprio lavoro: proprietario di un generatore di corrente per il quartiere, di un garage, di una fattoria con animali, di un allevamento di pesci.
Tutto distrutto.
Ora è rifugiato ad Erbil, nel quartiere cristiano di Ankawa, ma spera di poter migrare in Libano o in Giordania, con l’obiettivo di raggiungere il Canada o l’Australia; ora però sono senza possibilità economiche; senza soldi non possono muoversi.
Proseguiamo la visita.
Il silenzio della morte e della distruzione dovuta all’odio pervade e ci soffoca, come l’odore intenso di bruciato.
Yako vuole recarsi nel quartier in cui viveva e lavorava, Setaq, forse il più pericoloso, per la presenza di cecchini (ogni tanto uno sparo lacera l’aria) e per residui esplosivi nelle case o di tunnel sotterranei, in cui ancora potrebbero essere nascosti uomini del Daesh.
“Era una fine annunciata, ci dice abouna Yako; i villaggi arabi islamici vicini minacciavano ed annunciavano tempi in cui tutto quanto costruito dagli abitanti cristiani sarebbe stato di loro proprietà; l’invidia nei confronti dei cristiani si è trasformata in astio e cattiveria, tali da distruggere con atti barbarici tutte le abitazioni e le chiese della città”.
Camminiamo con circospezione, attenti ad ogni rumore; arriviamo al parco giochi, in cui immaginiamo tempi in cui bambini potevano rincorrere le proprie fantasie.
E raggiungiamo la chiesa dell’Immacolata, la più antica: le colonne interne alte ed immense, sostengono il soffitto nero di fuliggine; libri bruciati, il cortile usato come campo d’addestramento al tiro.
Anche la chiesa di san Behnam e sorella Marta Sarah, in cui Yako celebrava la messa, è stata violata: con lagrime agli occhi Yako ci mostra la distruzione del campanile…e scorge in terra la campana: corre per farci udire i rintocchi, che rompono il silenzio di morte come un grido di speranza, superando il rombo dei motori degli aerei di guerra che sorvolano.
//www.cybernaua.it/video/video.php?idvideo=108
Anche la casa della mamma di Caris è un cumulo nero di macerie; lei uccisa dal dolore ed il figlio che vorrebbe ritrovare qualcosa che possa ricordargli la madre.
Tutto distrutto, tutto dello stesso colore della violenza e della morte.
Mentre percorriamo le strade nere di fumo e colme di materiali distrutti e abbandonati, parzialmente accantonati da ruspe, ci rendiamo conto di essere testimoni di una barbarie che si è manifestata nel suo più profondo accanimento.
Il calore devastante è stato così forte, da aver trasformato i vetri delle finestre in oggetti dalle forme più strane, durante il raffreddamento.
L’odore acre di fumo penetra nel nostro cervello, mentre nel cielo azzurro, luminoso, gli aerei militari continuano i loro bombardamenti a Mosul.
A Mosul continua la battaglia, a Qaraqosh la vita dovrà ricominciare.
Maria Clara Mussa


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