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foto di: Renato Urban
Archimede genio italico inimitabile
Una analisi ironico-scientifica degli ideogrammi di Plimsoll

07-10-2017 - Il Cairo, 1994. La prima volta- c'è sempre una prima volta- in cui mi recai in Egitto per un simposio scientifico, trovai il modo di visitare il famoso museo egizio del Cairo. Sono sempre stato affascinato dalla storia antica e quella dei faraoni lo era davvero. Venire a contatto con i resti di una civiltà che aveva fatto la storia del mondo antico è stata un'emozione difficile da descrivere. Il dottor Samir Naguib, egiziano, figlio di un industriale, mi fece da guida in questo mondo indecifrabile per un comune mortale. I geroglifici, presenti in ogni angolo del museo, sugli obelischi e sui principali monumenti della città, mi facevano uno strano effetto. Mi piacevano, ma questa sensazione veniva corrotta dalla mancanza di cultura della lingua, che mi impediva di comprendere il significato delle parole. Mentre non capire l'alfabeto cirillico o arabo era una menomazione della conoscenza, ma era sopportabile, essere incapace di leggere la lingua dei faraoni mi creava un disturbo intellettuale difficile da gestire. Avere davanti agli occhi una storia millenaria e non saperla decifrare era un oltraggio alla mia cultura classica. Conoscevo il greco antico, il latino, ma questa lingua fatta di geroglifici non ero riuscito, anche se ci avevo provato, a farla entrare nel mio mondo classico. Samir, il mio buon amico egiziano, era un dotto. Cercava di supplire a questa mialacuna, senza farmela pesare troppo. Questa specie di sgomento mi accompagnò per tutto il viaggio e trovò il suo culmine quando arrivai a Luxor. Avrei dovuto visitare le tombe dei faraoni e delle loro regine, ma quello strano fastidio che va sotto il nome di maledizione dei faraoni, ci impedì di fare visita agli scavi. Mia moglie ed io restammo in albergo. Feci appena in tempo a visitare la parte archeologica della città e ad ammirare le feluche del Nilo che spinte dalle fresche brezze vespertine sembravano scivolare leggere sulle onde del fiume. Anche qui una serie di statue e di templi di incomparabile bellezza, decapitati dal tempo, ma ancora pieni di storia e di fascino, facevano da corona alla città. I geroglifici erano, comunque, un modo di farti sentire piccolo, piccolo, al confronto della grande storia che ti stava di fronte. La curiosità è la chiave del sapere. Un giorno, forse, avrei trovato la maniera e il tempo di studiare e di conoscere dal vivo la storia meravigliosa di questo paese. Quando qualcosa mi ricordava l’Egitto, andavo col pensiero al suo cielo terso, al colore azzurro del Nilo, alle feluche che scivolavano leggere sulle onde come se volessero accarezzarle, alle sue sabbie bollenti e all’aria pura e tersa che aveva fatto esclamare a mia moglie: mi sento leggera come una piuma.
GLI ACRONIMI DELLE NAVI
Nel mio lavoro, mi è capitato spesso di occuparmi di navi e per questo motivo venivo invitato al varo di carriers
importanti. Sulla carena avevo notato una specie di geroglifico, che mi richiamava alla mente quelli che avevo visto in Egitto. Quando chiesi spiegazioni mi risposero in maniera gentile, ma sintetica, che era l’ideogramma di Plimsoll. In pratica mi trovai di fronte allo stesso dilemma che ebbi in Egitto: chiedere di nuovo e far finta di non avere sentito oppure indagare e capire. Questa specie di rastrello a due manici, su cui comparivano degli acronimi, era come quello che aveva fatto esclamare a Winston Churchill, a proposito della politica estera russa, che si trattava di un indovinello, avvolto in un mistero all'interno di un enigma. Siccome la cosa non era così pregnante come la storia egizia, non dedicai molto del mio tempo a capire il perché di questi segni. In una disputa un avvocato di grido sommò lire con euro, fu capace di tirarne delle conclusioni, che erano chiaramente prive di senso, come lo erano per me geroglifici e ideogrammi. Mi imbattei più volte in questo rastrello a due manici e, avendone tempo e modo, volli vederci chiaro. L'occasione mi fu fornita dalla ELF e dai "Chantiers du Nord et de la Mediterranée", che mi invitarono al varo di una possente nave, la Floreal da 85 mila metri cubi di stazza, per il trasporto del gas di petrolio liquefatto, noto comunemente come GPL. Quando entrai in Agip, nel lontano 1972, venni destinato alla Direzione dell'Approvvigionamento di petrolio, che era il cuore pulsante della società. Il trasporto di petrolio e dei prodotti petroliferi derivati era quindi uno dei settori fondamentali del ciclo industriale. Madame G. Piganeau, rampolla di una nota famiglia di banchieri di Bordeaux, faceva gli onori di casa, in qualità di madrina della nave. La famosa bottiglia andò in frantumi, ma il destino della nave non seguì le bolle scoppiettanti dello champagne. Due anni dopo la nave venne mandata allo scrapping, perché le sue dimensioni non erano in linea con le dimensioni del mercato. Anche sulla Floreal c'erano le linee a rastrello. Non era il solito geroglifico egizio, ma l'ideogramma di Plimsoll, come mi spiegò il Ceo della Elf. Questo ideogramma non era presente nella mia vita quotidiana, ma spesso me lo trovavo davanti nei posti e nei momenti più disparati. Era arrivato il momento di togliere il velo all’enigma di Plimsoll.
L'IDEOGRAMMA DI SAMUEL PLIMSOLL
L'ideogramma di S. Plimsoll è una cosa piuttosto semplice. È come un segnale stradale, in cui si dice: da qui non si può passare. Questo precetto si può osservare anche senza capirne il motivo per cui è stato inventato. A suo vantaggio c’era da dire che l’ideogramma non era complesso come leggere un geroglifico egizio e quindi era alla portata delle mie capacità intellettive. Per prima cosa decisi di conoscere chi era questo onorevole Samuel Plimsoll, che non era citato in nessun trattato di fisica, economia, ingegneria e matematica. Insomma era una storia parallela a quella dei segnali stradali. Tutti o quasi, li conoscono e li osservano, ma quasi nessuno sa chi li abbia inventati. Carneade, chi era costui? Il Manzoni, nel libro "I promessi sposi", usa in maniera sapiente questo nome, che oggi è conosciuto da tutti, ma anche qui quasi nessuno sa chi fosse questo Carneade e che cosa facesse. Occorreva, quindi, sapere chi era questo Plimsoll che aveva inventato l'ideogramma e conoscere i motivi che erano alla base di questa novità. Si trattava di risalire alla storia della marina più famosa del mondo, quella inglese, che ha dominato, negli ultimi secoli, i mari di tutto il mondo.
Quando le regole non esistevano, cioè non c'era l’lntemational Maritime Organization (IMO), ciascun armatore regolava le norme di carico di passeggeri e di merce ad libitum. Come accade di frequente in questi casi, l'avidità del guadagno metteva in secondo piano le regole sulla sicurezza del trasporto. Accadeva pertanto che certe navi caricassero quantitativi di merce superiori a quelli dettati dalle norme di sicurezza. Spesso succedeva che qualche nave venisse travolta dai flutti e con essa scomparisse il carico della merce e spesso anche le persone. Siccome i casi aumentavano in modo preoccupante, i Lloyd's dovettero pagare fortissimi rimborsi agli armatori, senza poter disporre di elementi di controllo che potessero valutare se la nave fosse stata caricata in modo anomalo. Samuel Plimsoll si occupò del problema, venendo incontro alle esigenze degli assicuratori, ma dovette subire l'ostilità degli armatori, che non gradivano norme sul trasporto. Alla Camera dei Comuni ci fu una battaglia molto aspra sul tema, tra sostenitori e oppositori della regulation. La Camera era spaccata in due fazioni, come ai tempi della proposta di legge di Winston Churchill, che proponeva il cambio del combustibile per la regia marina, da carbone a nafta. Come talora accade in questi frangenti, alla fine vinse la moralità e il buon senso, anche perché non si trattava di salvare solo le merci trasportate, ma soprattutto le vite umane. Un problema, quindi, che toccava il cuore di un popolo votato al mare, come quello inglese. La legge venne approvata nel 1876 e l'ideogramma venne stampigliato su tutte le navi da trasporto della marina inglese prima e mondiale poi. Vediamo ora che cosa impone questo ideogramma. Non si tratta di una cosa semplice da capire, anche perché bisogna entrare nei meandri della fluidodinamica, che è una scienza esatta, che però non è alla portata di tutti.
Il Plimsoll o load lines, (in italiano marca di bordo libero), è un ideogramma convenzionale che indica l'intersezione della linea di galleggiamento al massimo carico consentito ad un natante. La load line aveva lo scopo di creare un meccanismo visivo che indicasse il massimo carico consentito ad una nave, per evitare tragedie dovute a carichi eccessivi di merce o di persone. Una nave, con load line sotto la linea di Plimsoll specifica per quel mare, significava che stava trasportando un carico superiore a quello consentito dalla normativa in materia e quindi doveva rientrare in porto e ridurre il carico. Nella convenzione marittima che regolò la materia, le acque furono divise in sei categorie, che indicavano ciascuna la linea di bordo libero.
Le sei sigle erano rilasciate dal Lloyd's Register of Shipping. Le navi dovevano essere classificate, una per una, da una società specifica, che nella fattispecie era costituita dal registro navale inglese. Restava ora da capire il perché erano state scelte sei righe e non una sola linea, dato che si tratta di galleggiamento in mare, che avrebbe dovuto essere uguale per tutte le navi. La spiegazione, breve, è che i mari hanno caratteristiche di densità dell'acqua diverse tra loro e quindi erano necessarie sei regole, una per ciascun tipo di densità dell’acqua di mare. La sigla TF indica la linea di galleggiamento di una nave in acque tropicali (Tropical Fresh water mark), con bassa densità, la F quella in acque fresche (Fresh water mark), la T in acque tropicali (Tropical load line), la S in acque estive (Summer load line), la W in acque invernali (Winter load line) e la WNA quella in acque invernali del Nord Atlantico (Winter North Atlantic), con alta densità. Si parte quindi dalla linea TF che indica le navi che solcano mari tropicali e quindi si trovano a navigare in acque con bassa densità.
Spostando, per il principio di Archimede, un volume di acqua V con densità minore, riceveranno di conseguenza anche una spinta di Archimede minore e quindi il peso di equilibrio dovrà essere per forza minore, in modo che la somma dei due vettori contrapposti sia uguale a zero e mantenga in equilibrio la nave. La linea di galleggiamento TF, quindi, sarà più elevata di quella delle altre cinque sigle, che hanno maggiore densità dell'acqua. Quando invece una nave si dovesse trovare in acque molto fredde, tipo Nord Atlantico, e quindi con densità ρ maggiore di quella tropicale, la sua linea di galleggiamento, contraddistinta dalla sigla WNA, inversamente proporzionale alla densità, sarebbe quella più bassa.
IL GENIO ARCHIMEDE
A questo punto la storia diventa un po' più complessa. Si tratta di entrare in una materia che non è accessibile a tutti, la dinamica del moto nei fluidi. Non è una materia nuova. Archimede, il grande genio nato a Siracusa nel 287 a.C., l'aveva sviscerata in maniera magistrale. Secondo quanto emerge dalla sua biografia, uscendo dalla vasca da bagno percepì la spinta dell'acqua e intuì il fenomeno fluido dinamico. Sotto l'effetto della grande emozione, dimenticò di coprirsi e se ne andò in giro nudo per le strade di Siracusa gridando: εύρηκα εύρηκα!
Archimede aveva scoperto una delle leggi più importanti della fisica, la forza idrostatica che spinge verso l'alto un corpo immerso in un liquido. Era nata una delle leggi fondamentali che governano la fluidodinamica, il principio di Archimede: un corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l'alto pari al peso del volume del liquido spostato.
Nella meccanica dei fluidi, per quanto riguarda il principio di Archimede, la densità è una delle variabili fondamentali. In letteratura viene indicata con la lettera greca ρ. La densità è definita come il rapporto tra la massa e il volume di un elemento. Mentre la massa è una costante di ogni materiale, il volume varia, sia tra liquidi che tra i gas. Nel caso dell'acqua di mare, la densità è una funzione sia della temperatura dell'acqua sia della salinità della stessa, che varia di molto dai mari caldi a quelli freddi.
Alla temperatura di 4 °C la densità dell'acqua pura è ρ= l kg/dm3. Con il crescere della temperatura, la densità a 40°C scende fino a ρ=0,9922445 kg/dm3. Le acque di mare hanno una densità che varia moltissimo con la salinità dell'acqua e con la temperatura della stessa. Per tale motivo la spinta idrostatica di Archimede, che è data dal prodotto della densità del liquido per il volume spostato V e per la costante di gravità, ha una intensità diversa in acque salmastre rispetto a quelle meno salate. Se il peso m di una nave è di 200 tonnellate e il volume V della stessa è di 200 metri cubi, secondo la legge di Archimede la somma delle forze in campo, perché il mezzo navale galleggi, deve essere tale che la forza gravitazionale Fl che spinge in basso la nave, sia uguale alla spinta idrostatica che la spinge verso alto, cioè F1 = Fz. In sintesi, assimilando il corpo immerso nell'acqua ad un cilindro di area A=40 metri quadri e di pescaggio h metri, si otterrebbe la seguente equazione: ρ · g · V = m · g, dove il volume di acqua spostata è V = A · h. Eliminando dall’equazione la costante di gravità g si avrebbe: ρ · A · h = m e quindi si potrebbe determinare la seguente profondità h di pescaggio (Eq. l - l), che è inversamente proporzionale
proporzionale alla densità ρ dell'acqua:
h = (m/ (ρ A)) = (200.000) / (920.40) = 5,435 metri. (Eq. l - l)
Nella FIG. 3, sono rappresentate due iperboli che indicano il pescaggio h di uno scafo, di volume 200 m3 e di peso 200 t, immerso in due fluidi con diversa densità.
La linea di colore rosso rappresenta la funzione f(x), cioè la profondità di pescaggio h in funzione dell'area A, per una densità del fluido di 0,5 kg/dm3.La linea blu rappresenta, invece, la funzione fl(x), cioè sempre la profondità di pescaggio h in funzione dell'area A, variabile, ma per una densità del fluido di l kg/dm3. Come si evince dalla figura, la profondità di pescaggio, a parità di peso e di volume immerso della nave, è inversamente proporzionale sia alla densità del fluido in cui è immerso il natante sia all'area A. Per valori di densità ρ= l kg/dm3 e di A=50m2, si avrebbe un pescaggio di circa 4 metri, mentre nel caso di ρ =0,5 kg/dm3, con spinta di Archimede, quindi minore, il pescaggio sarebbe di h=8 metri.
Se invece si volesse esaminare lo stesso problema mantenendo costante l'area A e facendo variare la densità ρ del fluido in un range 0,9-1 kg/dm3, all'interno delle linee di Plimsoll, si otterrebbe il grafico di FIG. 4. In questo caso l'iperbole f(x) di colore rosso è riferita ad un natante di 240 t, mentre quella di colore azzurro fl(x) si riferisce ad uno di 200 t. fu entrambi i casi la superficie A è uguale a 40m2 e il volume del liquido spostato è di 200 m3. Come risulta dalla FIG. 4, la profondità di pescaggio, a parità di peso e di area A del natante, cambia in funzione della densità dell'acqua. Per valori di 200 t, in un fluido di densità ρ=0,92 kg/dm3 e di A= 40 m2, si avrebbe un pescaggio di circa 5,435 metri, mentre nel caso di ρ =0,98 kg/dm3, con spinta di Archimede quindi maggiore, il pescaggio sarebbe di h=5,1 metri.
CONSIDERAZIONI FINALI
La storia dell'ideogramma di Samuel Plimsoll ci deve far riflettere, perché è simile a quella di chi ha inventato i segnali stradali. In questo caso il tragitto regolamentato non sono le strade o le autostrade terrestri, ma le vie del mare. Ogni giorno si assiste a tragedie, perché non solo non si rispettano le regole del buon Plimsoll, ma si affronta il mare con barche al cui confronto l'arca di Noé era una meravigliosa nave da crociera. Come sta scritto nel romanzo di Manzoni, le leggi ci sono, ma nessun pone mano ad esse. Il progresso della scienza sembra destinato solo ad avvilire le persone e a rendere vano il lavoro di geni come Archimede, Euclide e Pitagora, che hanno speso la loro vita per la crescita del sapere e del benessere congiunto. Tornando a Plimsoll, c'è da riconoscere che la burocrazia inglese, come sua consuetudine, ha fatto certamente un buon lavoro, ma senza l'ausilio del genio di Archimede non sarebbe stato possibile raggiungere questo risultato. Qualcuno ha scritto che l'unica comparsa di un romano nella storia antica della matematica è stata quella del soldato che, nel 212 a.C. uccise Archimede durante la presa di Siracusa da parte del console Marcello. Si tratta di un commento ingiusto e irriverente, perché la figura di Archimede basta da sola ad illuminare la storia della nostra cultura. Archimede è stato, anzi lo è, oggi ancora più di ieri, un mito, che ha attraversato ventitré secoli di storia della nostra civiltà, illuminandola per sempre con il suo genio di matematico, ingegnere, inventore, difensore della patria, sapiente e uomo che non sapeva solo pensare, ma anche fare e tenere in maniera elegante i rapporti con il potere politico del tempo. Sulla sua tomba, che già ai tempi di Augusto era diventata poco conosciuta e che oggi non esiste più, Archimede aveva predisposto una sfera iscritta in un cilindro, con inciso il rapporto tra i due solidi. A chiusura di questo saggio, si possono formulare alcune pacate riflessioni. Al diavolo i geroglifici egizi, che mi hanno incuriosito ma anche un po' intristito, al diavolo l'ideogramma dell'onorevole Samuel Plimsoll, che è stato importante e ancora lo sarà per molti anni, ma resta pur sempre il timbro di un burocrate inglese su una pratica ministeriale. Non ho nulla contro gli inglesi, di cui, anzi, ammiro la loro vision della vita, la loro capacità organizzativa e il loro british humor! La fama di Archimede è stata consacrata anche dalla comunità mondiale dei matematici che ha voluto che il suo volto venisse inciso sulla medaglia Fields, il premio più prestigioso che viene conferito ogni quattro anni ai migliori matematici del mondo, che non abbiano compiuto 40 anni. I suoi scritti, che hanno segnato una pietra miliare nel progresso delle scienze, lo hanno posto per sempre nell’empireo dei geni mondiali della matematica. A sua e a nostra consolazione, quello che resta del genio Archimede non è di poco conto. Grazie alle nuove tecniche di classificazione dei vecchi manoscritti, rimasti chiusi per secoli nelle biblioteche europee e arabe, oggi si può disporre di una serie di saggi di Archimede che hanno dilatato a dismisura la conoscenza delle sue teorie e dei suoi teoremi. Grazie a questi studi si sono potuti conoscere e capire in profondità i testi di uno dei più grandi matematici di tutti i tempi. L’opera fondamentale da cui partire per una nuova rilettura delle opere di Archimede è quella del filologo danese Johan Ludvig Heiberg, che nel 1915 pubblicò “Archimedis opera omnia cum commentariis Eutocii”, che conteneva anche i famosi prolegomeni, che erano indispensabili per capire la metodologia con cui erano dimostrati i suoi teoremi.
Tornando, invece, agli ideogrammi dell’onorevole Plimsoll e allo humor tipical english, ci piace ricordare che il bello e il buono sono chiamati dagli anglosassoni fiorentino o siracusano, il brutto e il male sono invece sempre attribuiti all'italiano. Onestà vuole che si dia a Cesare quello che è di Cesare. Archimede, che la storia vuole vittima di un soldato romano, non è "inglese", ma italiano. La gioia di Archimede, che esce nudo dalla vasca da bagno al grido di:
εύρηκα εύρηκα!
urlato per le vie di Siracusa, la famosa frase datemi una leva e un punto di appoggio e vi solleverò il mondo e la pluralità dei suoi scritti in materia di matematica, fisica e ingegneria, sono un patrimonio universale, da cui tutta l'umanità ha tratto e continuerà a trame enormi benefici. Ci sia permesso di ricordare, con malcelato orgoglio, che si tratta, però, di un patrimonio tutto italiano, nella scia di Michelangelo, Leonardo e Raffaello! Nessuno potrà mai cancellarlo. Il mito di Archimede, genio italico, che ha attraversato ventitré secoli di storia del mondo, non finirà mai: è come una gemma, lo sarà per sempre.

Prof. Ing. Renato Enrico Urban Docente al Dottorato di Ricerca in Energia e Ambiente, Dipartimento Ingegneria Astronautica, Elettrica ed Energetica, Facoltà di Ingegneria, Sapienza Università di Roma.




Renato Urban
 
  
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