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foto di: Archivio
Occorre ridefinire il Codice Penale di Pace, sarebbe un risultato ''storico''
A colloquio con Giuseppe De Giorgi sul nuovo ministro della Difesa e sull'impiego delle Forze Armate in ambito internazionale

07-09-2019 - In questa fase di cambiamenti nei vari ministeri, con la nascita del governo ‘’Conte bis’’, la nostra attenzione è rivolta in modo particolare al dicastero della Difesa.
Il ministro è Lorenzo Guerini, di cui l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, in una dichiarazione all’agenzia AdnKronos ha detto : “con il ministro Guerini la Difesa ritorna a un politico a tutti gli effetti, con solide basi nel Pd e in Parlamento; ciò potrebbe essere un fattore positivo per rilanciare sotto il profilo delle risorse economiche il settore della Difesa“.
De Giorgi, dal 2013 al 2016 capo di Stato Maggiore della Marina, da uomo operativo qual è, cessato l’incarico, nel 2017 si è imbarcato sulla flotta di Sea Shepard Conservative Society, l'organizzazione internazionale no-profit che dal 1977 si batte per salvaguardare l'ambiente e gli animali del mare.
Con Sea Shepard De Giorgi ha partecipato all'Operation Albacore, per fermare la pesca di frodo lungo le coste dell'Africa Centro-Orientale.
A seguito, dunque, della sua affermazione sulle caratteristiche del neoministro, lo abbiamo interpellato, avviando con lui un’interessante conversazione.
Ammiraglio, lei ha detto che il nuovo ministro della Difesa ha solide basi nel Pd e in Parlamento. Pensa che possa operare senza condizionamenti di partito? Ricordiamo che il PD è per “porti aperti senza distinzioni”.

“La linea relativa all’immigrazione, come per tutti i grandi temi che il Governo si troverà ad affrontare, compete in primo luogo al presidente del Consiglio. Il ministro della Difesa nello specifico settore deve assicurare, tramite la Marina, la sicurezza marittima sotto il profilo militare e il concorso al Ministero dei Trasporti per il soccorso in mare. Non credo che competa al ministro della Difesa dettare la linea in materia d’immigrazione, ma semmai di contribuire alla sua definizione nell’ambito del Consiglio dei Ministri”.
Una gestione più collegiale dello Strumento Militare come si potrebbe attuare, alla luce della attuale costituzione dei sindacati?

“Le decisioni e le valutazioni oggi nelle mani del Capo Militare della Difesa hanno ripercussioni spesso decennali che vanno ben oltre gli aspetti squisitamente militari. Basti pensare ai riflessi di tali decisioni sull’Industria della Difesa e di conseguenza sull’occupazione, sul PIL delle varie Regioni su cui insistono le realtà industriali connesse direttamente o indirettamente con le commesse militari. Il coinvolgimento del ministro è necessario e inevitabile. Meglio che ciò avvenga in una sede, quella del Comitato dei Capi, che garantisca nella piena trasparenza, che i responsabili delle singole Forze Armate in possesso di conoscenze specifiche non necessariamente possedute dal CSMD di turno, possano fornire il loro contributo di pensiero, in modo documentabile e responsabile. Le rappresentanze sindacali interloquiranno con le strutture di comando ai vari livelli dell’organizzazione militare così come accade per i corpi armati civili a ordinamento militare dello Stato, naturalmente nelle materie di pertinenza del Sindacato".
Un Comitato dei Capi non si sovrapporrebbe alla autorevolezza del Capo di stato Maggiore della Difesa?
Il Comitato dei Capi esiste dal dopoguerra. Sino al 1995 era l’organo consultivo del ministro della Difesa. Con la riforma dei vertici è divenuto organo consultivo del Capo di Stato Maggiore della Difesa. L’importanza del Comitato si è oggi sostanzialmente azzerata, così come si è abbassato il livello dei temi trattati. Ridare al Comitato dei Capi il ruolo di organo di supporto al ministro più che ridurre l’autorevolezza del CSMD, di certo ne ridurrebbe la possibilità di decisioni arbitrario, magari prese più sulla base del colore della “giubba” di appartenenza che di altro.
Un Comitato dei Capi, presieduto dal ministro, costituirebbe un contrappeso all’attuale eccessiva concentrazione di poteri del CSMD, assolvendo anche al compito di camera di compensazione per le tensioni fra le Forze Armate
”.
La verticalità della Difesa è obsoleta: per cambiare e rendere più agevole la gestione della Difesa, occorrerebbe creare un nuovo istituto o eliminarne qualcuno?
.
L’immagine che, a mio avviso, spiega meglio di altre la nostra Difesa è quella di un “idrocefalo” sostenuto da membra sempre più piccole.
Certamente occorre smettere di creare nuovi comandi (quasi sempre senza mezzi assegnati), nuovi centri di studio, d’integrazione capacitiva, di coordinamento etc. e cominciare a smagrire l’immenso Stato Maggiore della Difesa, delegando ai Capi di Forza Armati l’autorità necessaria per non dover passare attraverso il collo di bottiglia decisionale rappresentato dal CSMD e del suo Stato Maggiore, se non per questioni di massimo livello. Il Capo di Stato Maggiore della Difesa dovrebbe concentrarsi sulla direzione strategica e non sul Comando Operativo delle operazioni, altrimenti non può avere il tempo e il distacco necessario per assolvere al meglio al suo ruolo
”.
Cosa si aspetta dal ministro Guerini?, alla luce dei tentativi fatti da quello precedente in ambito internazionale (Libia, Niger, Gibuti…).
L’impiego delle FF.AA. in ambito internazionale discende direttamente dalla politica estera nazionale. Concepire un’azione indipendente, senza il coordinamento del ministro degli Esteri e del presidente del Consiglio generebbe solo confusione. Il primo contributo del ministro sarebbe di garantire al Governo e al Paese uno strumento militare efficiente e coerente con le ambizioni e impegni dell’Italia nel mondo. In tale ottica suggerisco di partire dai fondamentali, curando l’effettiva capacità operativa esprimibile dalle nostre Forze Armate. C’è però un aspetto che un Ministro “politico” potrebbe risolvere meglio di un “tecnico”.
Si tratta della questione del Codice Penale Militare da applicare in operazioni reali. Vi è da troppo tempo l’esigenza di definire nuove norme da inserire nel Codice Penale di Pace per governare l’uso legittimo della forza in “operazioni militari diverse dalla guerra”, come ad esempio la maggioranza delle missioni all’estero. Mi sembra davvero paradossale continuare a mandare i nostri militari in Afghanistan, in Libia, etc. con lo stesso Codice Penale Militare, pensato per la vita in caserma o in addestramento nei poligoni. Sino ad oggi nessun ministro ha avuto il coraggio di affrontare un tema certamente politicamente sensibile, ma così importante per l’efficacia, la credibilità e la sicurezza stessa dei nostri militari impegnati in missione. Sarebbe un risultato “storico”
”.










Maria Clara Mussa
 
  
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