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foto di: Archivio
Coronavirus: cosa cambierà nelle missioni internazionali
A colloquio con il generale Pasquale Preziosa, già Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare e presidente dell'Osservatorio sulla Sicurezza

25-03-2020 - Il mondo è attualmente impegnato nella pandemia di Covid19. Si fermano le attività in numerosi Paesi, le popolazioni si isolano prendendo misure precauzionali onde frenare la diffusione del contagio.
Ma le politiche internazionali, che coinvolgono i governi di Paesi anche lontanissimi loro, continuano a tenere occupati gli analisti che mantengono il loro occhio attento sugli accadimenti geopolitici.
Per capire meglio alcune situazioni occorre rivolgersi a chi le ha vissute, in qualità di capo istituzionale, come il generale Pasquale Preziosa, già Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Militare e presidente dell'Osservatorio sulla Sicurezza, costituito dall'Eurispes in collaborazione con la Dna (Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo) a cui abbiamo rivolto alcune domande.
Nel panorama sempre crescente delle missioni internazionali di supporto, troviamo missioni ONU, missioni NATO, missioni UE e missioni nazionali solitamente in coordinamento con il Paese ospitante.
Ma quando più missioni si trovano presente nello stesso territorio, vedi Libia o Niger, per citare quelle a noi vicine geograficamente, esiste un coordinamento o una forma di contatto tra di esse atti a migliorare la presenza sul campo nella direzione di benessere dei popoli ospitanti?
Il panorama delle missioni internazionali assumerà una nuova configurazione dopo l’evento pandemico in corso. Il compito della strategia politica è quello di allineare i mezzi a disposizione per il raggiungimento dei fini stabiliti: al ridursi dei mezzi si riducono i livelli di ambizione della Nazione. La recessione economica che seguirà questo periodo, ridisegnerà il panorama delle missioni internazionali e delle relazioni internazionali. Il coordinamento è il primo atto necessario per qualsiasi operazione congiunta o disgiunta quando si opera nella medesima area: gli errori del mancato coordinamento si pagano molto cari anche in termini di vite umane”.
Nella variegata storia delle missioni internazionali e sulla base dei recenti successi (come il Kosovo) o fallimenti (come in Afghanistan) in che modo il peacekeeping si sta evolvendo (o dovrebbe evolversi) per palesare al meglio il percorso di pacificazione, sicurezza e ricostruzione che, come si afferma nelle risoluzioni, sta alla base dello scopo delle missioni stesse?
La fine delle operazioni in Afghanistan, che erano iniziate come “Global war on terrorism”, non ha portato a casa i risultati attesi, ha regalato invece, risultati che non piacciono a nessuno e ciò, di fatto, distruggerà il quadro concettuale intorno al quale erano state costruite le operazioni. Il costo delle operazioni per l’Afghanistan e l’Irak, secondo alcuni analisti, sfiora a fine 2019 i 6 trilioni di dollari, a fronte delle ingenti risorse finanziarie impiegate i risultati pianificati non sono stati raggiunti.
La storia non ha mai riportato grandi successi militari in quelle terre lontane dell’Afghanistan, dedite alla coltivazione del papavero, che sono attrazione per le cosche criminali e posti sicuri e di retrovia per i terroristi. Massoud, il leone del Panjshir, dopo la fine sconsolante della missione dei Paesi occidentali in Afghanistan, sarebbe morto per la seconda volta: lui sunnita combatté per il suo Paese contro i talebani e fu ucciso per mano terrorista sunnita dal mandante Osama Bin Laden.
La partita non è finita, perché il mancato successo in Afghanistan da parte degli USA, rappresenta anche un messaggio che rafforzerà le altre organizzazioni terroristiche affiliate ad Al Qaeda soprattutto in Africa, dove si farà strada l’idea che la permanenza dell’occidente in quelle terre è legato al tempo e non ai risultati.
Bauman avrebbe detto “Mancano gli strumenti concettuali per risistemare un quadro contorto e frammentato, per immaginare un modello coerente e integrato che emerga da un’esperienza confusa e incoerente, per legare e tenere insieme gli eventi disseminati.”
Per capire la logica delle cose bisogna rivolgere lo sguardo alla storia, alle leggi della natura non alle leggi di mercato.
Il Kosovo è un’altra scommessa con la storia, perché la missione militare internazionale non è ancora terminata e i risultati saranno noti solo alla fine.
Non vi sono risorse sufficienti, per la ricostruzione dei Paesi che hanno ricevuto il peacekeeping; venti nuovi ora spirano sui nuovi equilibri mondiali
”.
Libia e Niger: in che modo l’Italia si raccorda con gli stati Maggiori delle Missioni presenti in questi territori? Cosa potrebbe essere migliorato?
L’Italia ha fatto uno sforzo politico, anche se alterno, per la Libia; la comunità internazionale si è interessata anche con la conferenza di Berlino di trovare una soluzione del problema libico; ma i due attori principali libici, recitando ruoli non propri, hanno messo in forse la via per la soluzione della tragedia libica. Il nuovo fattore odierno è il crollo del prezzo del petrolio che potrebbe abbassare i livelli di “conflittualità per procura” nell’area, ma non le strategie messe in atto dai Paesi interessati.
Abbassare il livello di conflittualità non vuol dire stabilizzazione della Libia, ma mantenimento del livello di incertezza attuale.
Il Niger insieme al Mali, Burkina Faso, Mauritania e Ciad fanno parte del Sahel.
La missione, approvata dall’Italia nel 2018 è poi iniziata nel 2019 superando una miriade di problemi.
La missione risulta essere importante, per quella specifica area destabilizzata, perché nella regione si concentrano flussi migratori e terrorismo che rappresentano una delle sfide principali per i paesi europei. La recente uccisione di 92 soldati del Ciad da parte di Boko Haram e la perdita di 24 automezzi da parte delle locali forze governative dà la misura delle attività di contrasto da mettere in campo in quell’area.
La presenza di molte altre nazioni rende lo schieramento nazionale parte del tutto.
Dove vi sono forze nazionali rischierate, vi è sempre il gradimento della nazione ospitante e il coordinamento con le altre forze presenti.
Il ministero degli esteri con la rete diplomatica e il ministero della difesa con la rete degli addetti difesa rappresentano i pilastri per il “fuori area” supportati dai Servizi Segreti.
I coordinamenti con gli altri Paesi in teatro seguono la stessa via, con l’aggiunta dei comandanti in loco che sono in contatto e coordinamento con gli altri comandanti: sapere chi è in una determinata area è importante per evitare fraintendimenti.
Cosa potrebbe essere migliorato? Oserei dire tutto.
Tutte le volte che si va in teatro come “cani sciolti” non integrati con altri Paesi, si perde in efficienza della missione e difficilmente si possiede la capacità di dare soluzione ai problemi; talvolta anche per una coalizione di Paesi risulta essere difficile la completa soluzione delle instabilità regionali
”.





Maria Clara Mussa
 
  
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