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Lezioni da una tragedia
''Non ci sta l’aver gettato in piazza le parole del padre disperato al figlio omicida''... sostiene il generale Burgio
02-08-2024 - L’11 novembre 2023 ebbe termine in modo tragico l’esistenza di Giulia Cecchettin, giovane donna di 22 anni, per mano dell’ex-fidanzato Filippo Turetta.
Non si trattò del primo caso in cui la rabbia del (o della) partner rifiutato/a abbia portato alla soppressione di una vita, né dell’ultimo, ma non per questo può perdere in gravità.
Giusto condannare l’omicida, e tenere conto che il dolore che ha inflitto non si sanerà mai. Proverei a dire che sarebbe lecito “gettare via le chiavi”, ma onestamente non possiedo cognizione di tutti i termini filosofici e costituzionali del problema, per cui non mi esprimo.

Ciò che mi ha colpito è stato invece tutto ciò che ha preso forma da quella vicenda, e che considero sintomo di un’involuzione del pensiero. Di evoluzione non ci vedo molto.
Ci sta tutto il dolore del padre di Giulia, e non credo sia criticabile il suo bisogno d’esternare sensazioni in pubblico: ciascuno ha diritto di reagire a un tale disastro come crede meglio, e se fortemente provato va capito.
Inutile dire che un libro sulla vicenda, o meglio sulla propria figlia massacrata, non fosse il caso di scriverlo. Invito tutti a mettersi per mezza giornata nei panni di una persona che venga così colpita nell’intimo, e si comprenderebbero cose che, a mente fredda, possono ritenersi inopportune.

Ci sta pure l’esternazione della sorellina Elena, assurta a icona di pensiero, quando doveva essere compresa, e basta. Attribuire valore paradigmatico alle sue frasi – a mio avviso – è un po’ sintomo di pochezza di spirito, da parte di coloro che sfruttano ciò che una ragazza disperata dice, solo perché politicamente schierata dalla parte “giusta”.

Mi riferisco al concetto di “patriarcato” usato e abusato, del quale ho impressione che poco sappia. Un tempo autorevoli intellettuali lo avrebbero rimarcato, col massimo rispetto del dolore, sia chiaro. Stavolta tutti zitti. Basti una considerazione: se tutti gli uomini fossero così, come viene indicata da Elena la nostra società, il mondo sarebbe stato da tempo desertificato. Per fortuna non lo è. Ma faceva comodo usare il suo slogan, per qualche voto in più.
Sergio Leone ci avrebbe girato una nuova serie di spaghetti-western, magari.

Ma quel che proprio non ci sta è l’aver gettato in piazza le parole del padre disperato al figlio omicida, che sempre suo figlio è. E deve far di tutto perché non s’ammazzi.
Comprendo che di primo impulso qualcuno possa dire “E che s’impicchi pure! Chissene!”, resta tuttavia, in capo al padre, il dovere disperato di dare un supporto al figlio, nella paura di aver sbagliato qualcosa nell’educarlo o di non aver colto il mutamento che covava e che da bravo giovano, lo trasformava in un omicida che ha preparato l’azione delittuosa incurante del diritto a vivere, e a vivere come le pareva meglio, dell’ex-fidanzatina.
C’era un’ipotesi di reato in quelle frasi? Onestamente non ne ho rinvenute. Ricordare al figlio di non essere un omicida terrorista o mafioso – evidentemente in quel gruppo familiare ritenuto peggiore di un femminicida – reato non è.

Possiamo star a discutere se Riina, Messina Denaro, etc., siano omicidi peggiori del Turetta, e ognuno rimarrebbe delle sue idee, forse. Magari papà Turetta ha detto una fesseria, non so. Ma doveva essere sputtanato a reti unificate?
Le colpe dei padri non ricadano sui figli, si diceva, adesso dobbiamo dire che sia valido il processo contrario?
E se reati non ne son stati commessi, perché dar in pasto a nugoli di voyeurs da social parole intime come quelle che possono scambiarsi genitori e figli addolorati?
O tutto ciò è servito solo per poter confermare il teorema iniziale sul patriarcato, concetto del quale manca una completa cognizione, e crocifiggere i genitori Turetta perché hanno educato (male) il figlio ad essere patriarca?

Son cresciuto in paesi ove di padri che si facevano carico di mantenere, col sudore, famiglie numerose, erano la più parte. Erano patriarchi, loro sì, ma non ammazzavano, né stupravano. Chi usa quel termine, che aveva accezione fondamentalmente positiva, dovrebbe andare a studiare italiano e storia. E condire il tutto con una bella grattugiata di buona fede.

Carmelo Burgio
 
  


 
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