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L'immaginazione e la conoscenza
Winston Churchill ed Enrico Mattei, due grandi a confronto
17-02-2017 - Mettere a confronto due personalità talmente diverse tra loro come quelle di Winston Churchill e di Enrico Mattei è un’impresa molto complicata. Churchill rappresenta la figura politica più moderna del secolo scorso, Mattei il più grande imprenditore. Non credo che in letteratura ci sia qualcuno che si sia cimentato sulla materia. Tuttavia, quando ho avuto l’idea di metterli a confronto, facendone un ritratto, mi era scattata una voce interiore che mi suggeriva che i due personaggi, pur tanto diversi tra loro, avessero in comune qualcosa di straordinario. Diceva Albert Einstein che l’immaginazione è più importante della conoscenza, perché mentre la seconda è limitata la prima non ha confini. Finalmente avevo trovato il tratto che univa i due personaggi: l’immaginazione! Le due figure carismatiche, per la verità, tutto potevano sembrare, tranne che due idealisti che passano il loro tempo a lottare con i sogni. Più ci pensavo e più mi rendevo conto quanto questo paragone fosse vicino alla realtà. Sapevo che ambedue erano dotati di una fortissima personalità, che a prima vista sembrava più concentrata sulla risoluzione dei problemi contingenti, piuttosto che spaziare sul futuro. Abituato a disegnare il futuro partendo da solide basi statistiche, non ero pronto a pensare che si potesse farlo con l’immaginazione. Invece c’era stato qualcuno che aveva saputo progettare il futuro ricorrendo proprio a quella forma di pensiero, l’immaginazione, che era sconosciuta ai tecnici del settore, ma che portava molto più in alto della conoscenza, come affermava Einstein. Dall’analisi delle opere di Churchill e dalla lettura della sua storia, emerge una figura dotata di un enorme carisma, capace di prevedere l’evoluzione futura del mercato energetico, qualità che sarebbe stata più consona a un professionista del settore. C’è un fatto preciso che mi ha illuminato su questa capacità del personaggio Churchill, il suo progetto di modernizzare la marina britannica, che peraltro era la più avanzata del mondo. Da primo Lord dell’Ammiragliato aveva studiato un dossier riservato, in cui si mettevano in luce di quanto migliorassero le performances dei motori marini passando dal combustibile carbone ai derivati del petrolio. In questo frangente entra in gioco la marcia in più che aveva Churchill, rispetto all’entourage politico e tecnico che lo circondava. Passare dall’idea dei tecnici al progetto politico era nel novero delle cose, ma di questo nessuno gli aveva mai parlato. Il motivo era nella scarsa propensione dei tecnici a capire come si sarebbe evoluto il mercato marittimo in funzione della nuova forma di combustibile rappresentata dal petrolio e nella scarsissima attitudine a promuovere un cambiamento che nessuno aveva loro sollecitato. In sintesi mancava loro l’immaginazione, che invece Churchill aveva molto fertile. La sua elaborazione poteva spaziare nel settore senza limiti di vincoli, ma poi si doveva confrontare con la realtà del mondo che lui andava a stravolgere. Per prima cosa fece preparare dai tecnici dell’Ammiragliato un progetto di fattibilità da cui risultassero i benefici che il suo paese e di conseguenza la marina inglese avrebbero tratto da questo cambiamento epocale. Una rivoluzione era già avvenuta nel settore, quando la marina era passata dalla vela alla propulsione a motore, con il carbone come combustibile. Anche allora il cambiamento fu interpretato come una bestemmia, da chi amava la vela, che aveva fatto crescere l’impero inglese dall’Atlantico al Pacifico. La vela era il sogno dell’uomo di mare, che richiedeva la capacità di coniugare il vento del cielo con l’acqua degli oceani. Il suo fascino è rimasto intatto nei secoli. Anche oggi la Vespucci, la nave scuola dell’Accademia Navale di Livorno, suscita orgoglio e fierezza nelle nuove generazioni. Il passaggio dalla vela al motore è stato doloroso, ma inesorabile, anche se ci sono voluti più di cinquant’anni prima che il trasporto a motore facesse scomparire quello a vela, che restò solo per gli appassionati del diporto. L’Ammiragliato (Ministero della Marina), di cui lui era il titolare (1911-15), con in testa l’ammiraglio Fisher, era decisamente contrario al progetto. Churchill, però, aveva le idee chiare e non si fermò davanti alle critiche che piovvero abbondanti da parte di tutti i settori interessati, a cominciare da quello politicò. La parte più delicata del progetto d’innovazione era quella relativa al supply di bunker C per la marina, dato che la produzione nazionale inglese non era in grado di farvi fronte. La sicurezza del supply era una cosa indispensabile per una marina civile, ma soprattutto per quella militare, che doveva essere in grado di avere riserve abbondanti, per qualunque tipo di esigenza. Anche in questo caso Churchill tirò fuori dal cappello la sorpresa dell’accordo Anglo-Iraniano, che assicurava all’Inghilterra la sicurezza del supply, che era la variabile più debole del progetto. Churchill aveva una visione strategica dei problemi che era avanti anni luce rispetto a quella dell’industria navale del suo tempo. Strinse un accordo con l’Iran, creando la Anglo-Persian. Lo scopo di una mente illuminata era quello di andare a cercare il petrolio dove si produceva, entrare in joint-venture con il paese produttore e quindi diventare proprietari di tutto o di parte delle risorse necessarie alla sicurezza dell’iniziativa. Con questa mossa veniva neutralizzato uno dei punti più difficili da difendere, quello della sicurezza del supply. La lobby del carbone, che vedeva minacciata la sua sopravvivenza, fece una guerra terribile contro il suo progetto, puntando sul fatto che il carbone del Galles stava in casa e che quindi la sicurezza del supply era garantita al massimo grado. Erano in molti a non avere quella che oggi si chiama vision e quindi a remare contro il progetto. Nel 1913, quando l’accordo Anglo-Persian venne presentato alla House of Commons, per avere l’approvazione politica, che era assolutamente necessaria per un progetto che stravolgeva la strategia della marina inglese e quindi la sicurezza di un popolo dedito al commercio marittimo, Churchill si trovò davanti ad una confusa marea di oppositori. Economisti contrari a ulteriori spese navali di budget, lobbies del carbone che vedevano sfumare un mercato sicuro invocando la sicurezza del supply, Conservatori che deprecavano il commercio di Stato, oppositori partigiani che denunciavano il progetto fatto con denaro pubblico, privo di redditività e passibile di corruzione. In tutte queste argomentazioni divergenti si finiva sempre per evocare pericoli e soprattutto il problema della corruzione. Si trattava di opposizioni che non avevano a cuore lo sviluppo e l’innovazione tecnologica, e quindi il benessere di tutto il Paese ma il portafoglio di chi vedeva minacciata una rendita di posizione. Churchill, però, aveva davanti a sé una visione strategica, quella di modernizzare il suo paese, prima che lo facessero altre nazioni concorrenti. La sua immaginazione e la sua abilità di politico, convinsero la maggioranza degli inglesi che la proposta era saggia, lungimirante e redditizia per il paese. Riuscì quindi a trovare alla Camera dei Comuni la maggioranza parlamentare richiesta. L’accordo anglo iraniano sul petrolio venne approvato nell’autunno 1913 dalla Camera dei Comuni e divenne legge dello Stato. Churchill dichiarò che ora c’era un supply di combustibile di proprietà e quindi la sicurezza degli approvvigionamenti era garantita. Quella scelta segnò il destino di un popolo, ma collocò anche la figura di Winston Churchill nell’empireo dei grandi della storia. La marina britannica divenne la regina dei mari e fu uno strumento essenziale per vincere la prima guerra mondiale e mantenere forte la presenza inglese nel commercio marittimo.
Non si sa se la figura di Churchill abbia in qualche modo interferito sulle scelte di Enrico Mattei. Credo di no. Uomini come Mattei e Churchill nascono raramente ed hanno una cosa in comune, la capacità di anticipare il futuro, quella che Einstein chiamava immaginazione. Nessuno dei due era un tecnico del settore specifico, ma ambedue hanno saputo anticipare la storia, Churchill nel settore navale e Mattei in quello dell’energia. Senza conoscerla, Mattei applicò la dottrina Churchill in una maniera perfetta. La sua avventura nel mondo petrolifero cominciò nel 1945, quando, alla fine della seconda guerra mondiale, venne nominato commissario liquidatore dell’Agip, una società petrolifera in stato fallimentare. Mattei non era uno sconosciuto, ma uno dei capi del fronte di liberazione nazionale (FNL), che aveva guidato la resistenza contro i tedeschi. Capi si nasce. Mattei era un vero capo. In lui era innato il senso di comandare, dirigere, operare e organizzare. Mise in luce queste sue qualità fin da giovinetto, creando poi anche un’industria chimica che trattava merce di import export. Questa funzione gli fece capire come fosse difficile per l’Italia, carente di materie prime, entrare in questo complicato business e pose le basi di quello che poi sarebbe diventato il suo cavallo di battaglia, la creazione di una società energetica che mettesse l’Italia sullo stesso piano delle grandi potenze che già avevano messo in sicurezza il supply di petrolio e di gas per le loro industrie. Senza conoscere questi prodromi non è possibile capire l’opera gigantesca messa in piedi da Mattei, che era tutta rivolta al servizio del suo paese, esattamente come aveva fatto Winston Churchill per la marina inglese. Si tratta di due personaggi che erano completamente diversi uno dall’altro, per nascita, tradizioni, istruzione, ma che avevano in comune un grande ideale, quello d’immaginare un futuro che servisse meglio al loro paese. Mattei aveva anche un’abilità diabolica di capire le persone, di selezionarle e di farle lavorare, anche gratis, per portare a termine la sua missione. Prima di decidere voleva sempre conoscere i dettagli del problema, come ho già messo in rilievo in un precedente articolo sul tema. Nominato commissario liquidatore dell’Agip, si presentò all’ingegner Carlo Zanmatti, Presidente della società, esibendo il decreto con cui era stato nominato dal Governo commissario liquidatore della stessa. Volle conoscere le ragioni dei pessimi risultati di bilancio riportati negli ultimi anni, da cosa erano stati causati, perché i ricavi erano così inferiori alle spese e come mai la società petrolifera in tutti questi anni non era riuscita nella sua mission, non avendo trovato né petrolio né gas. L’ingegner Zanmatti era un ottimo tecnico minerario. Lo accomunava a Mattei il grande senso di responsabilità di lavorare per lo Stato, di amare profondamente il proprio lavoro e di essere anche dotato di una non comune riservatezza. Queste qualità piacquero subito a Mattei, dopo aver sentito una risposta chiara ed esauriente alle sue domande. Zanmatti spiegò a Mattei che la società era tecnologicamente avanzata nel suo campo, ma che a causa della guerra in corso le attività si erano formalmente fermate. In realtà, con molta riservatezza, i lavori erano continuati e nel 1944, nonostante la situazione bellica, la società aveva scoperto il più grande giacimento a gas naturale non solo della Valle Padana, ma di tutta l’Europa. Il giacimento era quello di Caviaga, che aveva riserve certe di gas naturale per circa 12 miliardi di standard metri cubi. La notizia era stata tenuta segreta, per evitare che i tedeschi mettessero in produzione il giacimento e traportassero il gas con carri bombolai in Germania. Ma la notizia non finiva lì. Anche inglesi e gli americani, i vincitori della guerra, vennero a scartabellare gli archivi tecnici della società, ma il management Agip, opportunamente istruito da Zanmatti, aveva messo al sicuro da occhi indiscreti tutte le carte sismiche del giacimento. La bella notizia venne percepita ed elaborata istantaneamente da Mattei, che cambiò completamente atteggiamento verso Zanmatti. Io sono venuto qui per licenziarla, gli disse Mattei, ma ora, dopo le preziose precisazioni che lei mi ha fornito, ho cambiato idea. Le propongo di lavorare per me, anche se ora non posso pagarla, dato che l’ho licenziata. Lei continuerà a lavorare su questo progetto e le prometto che, se ci sarà un successo, Lei avrà un posto molto importante nella società. Raccomandò a tutti di mantenere la materia del tutto riservata e preparò un piano politico di sviluppo dell’attività mineraria dell’Agip. L’Italia era povera di materie prime, specie per quanto riguardava petrolio e gas naturale. Mentre Churchill si era preoccupato di trovare le riserve di petrolio necessarie per far funzionare la flotta inglese, Mattei, partendo da Caviaga, capì per primo in Europa l’importanza del gas naturale nella crescita economica dell’Italia. Per farlo gli servivano i pieni poteri e questi gli vennero conferiti con la creazione dell’Ente Nazionale idrocarburi (ENI). Non fu un traguardo facile da raggiungere, come non lo fu per Churchill fare l’accordo con l’Iran. In questo caso erano in ballo una serie complicata di alleanze, tutte rivolte contro la creazione dell’Eni e del monopolio che Mattei aveva richiesto al Governo per valorizzare le risorse di petrolio e di gas della Valle Padana. Mattei dovette ingaggiare una battaglia durissima, molto più dura di quella di Churchill, per portare a termine il suo piano. Aveva contro il colosso italiano dell’industria privata, la Montecatini, una grossa fetta della Confindustria e soprattutto le società petrolifere straniere. Se poi si fosse saputo che il disegno di Mattei non era limitato alle risorse della Valle Padana, ma era rivolto ben più in alto, a mettersi su un piano paritario con le sette sorelle, allora forse il suo piano non avrebbe avuto successo. Mattei fu abile a perseguire il primo obiettivo, che era quello della conquista della Valle Padana, dato all’Eni in esclusiva assoluta, con il vincolo, però, gradito anche da Mattei, di non fare joint ventures con le società private. Con l’appoggio di Ezio Vanoni e di De Gasperi, che Mattei aveva sapientemente invitato all’inaugurazione del pozzo di Caviaga, per spiegare, con i fatti, i benefici che ne sarebbero derivati per tutta l’industria italiana. L’appoggio che Vanoni dette a Mattei fu decisivo per fargli vincere la battaglia conto gli oppositori del progetto. Era stato l’amico Boldrini a presentargli Vanoni, astro nascente della politica italiana e cervello della sua crescita economica e fiscale. I due si capivano al volo senza quasi parlare. Erano ambedue uomini del fare, di poche parole e di fatti concreti. L’amicizia di Vanoni era il miglior viatico per la riuscita del suo progetto, che, dopo una durissima battaglia, ebbe il via libera dal Parlamento. La Valle Padana, dal 1953, era quindi diventata riserva di caccia dell’imperatore dell’Eni. La sua fama crebbe a dismisura, varcando i confini del paese. Durante un ricevimento al Quirinale, Fanfani presentò Enrico Mattei a Charles de Gaulle, che era in Italia in visita ufficiale. Il Presidente francese, con un tono sprezzante, si rivolse a Mattei chiamandolo:“Votre Majesté”. Poteva sembrare una frase di cortesia, ma alla luce degli avvenimenti futuri poteva sembrare anche un avvertimento, se si tiene conto della scarsa considerazione che i francesi avevano nutrito in passato per il re Luigi XVI di Borbone.
Vinta la battaglia per la Valle Padana, Mattei dette inizio alla seconda fase del piano, quella di entrare a pieno titolo, come le majors Usa, nel mercato mondiale del petrolio e del gas naturale. Questa seconda battaglia fu molto più aspra della precedente. Le sette sorelle, assecondate anche dalla BP e dalla Total, fecero il possibile e l’impossibile per tenere l’AGIP lontano da quest’area di business. Enrico Mattei, però, come Churchill, aveva una marcia in più. Avendo trovato chiuse le porte delle sette sorelle, si mise a dialogare direttamente con le National Oil Companies (NOCs), bypassando completamente le majors e le due compagnie europee, con un piano che mandò su tutte le furie non solo le società private, ma anche i Governi Usa, francese e inglese. Ci furono formali proteste ufficiali presso il nostro Governo, accompagnate anche da minacce. Mattei, però, non si fece impressionare o forse non ne valutò appieno la consistenza ed andò avanti come un treno sul suo obiettivo. Da una società in liquidazione creò la sesta compagnia petrolifera mondiale e dette all’Italia la sicurezza di un supply molto variegato, che spaziava dai paesi africani, al Medio Oriente ed alla Russia. Con il tramonto della politica di espansione territoriale e della conseguente perdita di egemonia sulle nazioni LDC, la nuova frontiera, formata dagli accordi commerciali tra le parti, aveva sostituito la colonizzazione politica della conquista territoriale. Non era molto, ma era comunque un grosso passo avanti, in quanto i paesi LDC potevano amministrare con chi volevano le loro materie prime. Mattei si incuneò con un‘abilità incredibile in questa terra di nessuno e strinse accordi commerciali, su basi nuove e molto più remunerative di quelle fatte in passato dalle majors, con una miriade di paesi produttori di petrolio e di gas naturale. La lungimiranza di Mattei venne premiata, perché fu in grado di garantire all’Italia rifornimenti di petrolio e di gas a prezzi convenienti e permise all’industria italiana dell’indotto di crescere e di espandersi, dando lavoro e benessere a migliaia di famiglie. Mattei ha raggiunto i risultati che si era imposto, ma li ha pagati a caro prezzo. L’attentato al suo aereo, caduto in fase di atterraggio a Bescapè, ne ha fatto un mito che a distanza quasi di 54 anni ancora resiste, non solo in Italia, ma anche in tutti paesi emergenti, specie nelle giovani generazioni. La cosa che sorprende di più non è tanto l’alone di gloria che ancora lo circonda, ma l’omaggio e la stima che ancora oggi il personaggio gode nei paesi in via di sviluppo. L’Algeria in cambio dell’appoggio che Mattei ha dato al FLN algerino contro il colonialismo francese, gli ha dedicato il gasdotto Enrico Mattei, che partendo da Hassi ‘R Mel arriva al confine con la Tunisia. Nel tratto di mare da Capo Bon a Mazara del Vallo, il gasdotto si chiama Transmed, con buona pace di chi ha dato la vita per assicurare al proprio paese la sicurezza del supply di energia.
La guerra all’anomalia Eni, come veniva dipinta dai media internazionali pagati dalle multinazionali, non è però ancora terminata. Continuano le battaglie per indebolirne la presenza, dentro e fuori del sistema, che hanno già ottenuto dei significativi successi con la vendita della Nuova Pignone, con la separazione societaria di Snam da Eni, con la separazione della Stogit dall’Agip e con la riduzione della quota Eni in Saipem, il gioiello mondiale della galassia Eni. Non si capirà mai abbastanza quanto sia importante la sicurezza del supply di energia per un paese come l’Italia, scarsa di materie prime. L’energia è come il sangue per il corpo umano. Se manca il corpo muore. Così affermava il presidente francese George Clemenceau. L’unico conforto che ci viene incontro è quello di sapere che nei momenti di grande difficoltà il nostro paese ha saputo tirar fuori le sue qualità migliori, quelle di Vanoni, De Gasperi e Mattei, dopo la seconda guerra mondiale, che hanno portato all’oscar della lira. Allora, però, c’era una classe dirigente che ha saputo, in tempi molto difficili, elaborare il codice di Camaldoli, che è stata la Bibbia economica con cui è rinata l’Italia, uscita a pezzi dalla guerra mondiale. In quel consesso c’erano uomini illustri guidati nelle scelte da personaggi politici come Taviani, Moro, Andreotti, Gonnella, La Pira, che erano un’élite politica della cultura cattolica e supportati da tecnici di valore come Vanoni, Saraceno, Ferrari Aggradi e Paronetto. L’Italia quando vuole sa uscire dalle crisi politiche ed economiche. Anche oggi i mezzi per affrontare la crisi ci sono. Basta con la demonizzazione dei politici e con un’esaltazione sfrenata dei tecnici. I tecnici sono indispensabili per le linee guida dello sviluppo, ma la linea dove andare, come si è visto con Winston Churchill e con Enrico Mattei la devono tracciare quelli che hanno quella straordinaria dote che Albert Einstein chiamava immaginazione. Einstein era un genio, ma non si sarebbe mai sognato di fare il capo politico.
La politica è la più bella e più difficile delle arti, la più complessa, quella che indica la strada maestra per uno sviluppo organico di una nazione. Platone ne ha dato un saggio magistrale nei suoi scritti. Non esistono le forme di Governo ottimali, le costituzioni migliori, ma esistono uomini migliori di altri, quelli che fanno la differenza tra i professionisti della politica e quelli come De Gasperi e Vanoni, Churchill e Mattei, che hanno lavorato per il bene vero del loro Paese e non solo. Un episodio valga per tutti. Enrico Mattei, quando si recò dal Presidente della Banca Commerciale, Raffaele Mattioli, per richiedere un finanziamento per lo sviluppo del giacimento a gas di Caviaga, si sentì rispondere che per avere un finanziamento bisognava essere in grado di dare adeguate garanzie, che una società come l’Agip, peraltro in liquidazione, non poteva offrire. “Con che cosa mi garantisce il prestito?” Chiese Mattioli a Mattei. Certo non avrebbe mai immaginato la risposta che gli dette Mattei: “Presidente, garantisco con i miei beni personali!” Raffaele Mattioli, che pure era un esperto banchiere, rotto a ben altre emozioni, restò esterrefatto di fronte a tale risposta. Capì al volo la personalità di Mattei e fu il primo banchiere a sostenere apertamente l’operato di Enrico Mattei ed a garantirne la crescita di quello che sarebbe diventato l’impero ENI, su cui in molti, anche oggi, cercano di metterci le mani!
Renato Urban è docente al Dottorato di Ricerca in Energia e Ambiente, Facoltà di Ingegneria, Sapienza Università di Roma.



Cortesia di Renato Urban
 
  


 
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