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foto di: Daniel Papagni
Missione ''no combat'' in Niger
Sarà un invio di circa 470 militari e centocinquanta mezzi, tratti dai contingenti attualmente operativi in Afghanistan e in Iraq
27-12-2017 - In questi giorni si discetta sulla missione in Niger, autorizzata dal Governo e benedetta dalla ministra della difesa Roberta Pinotti.
Sarà un invio di circa 470 militari e centocinquanta mezzi, per una missione definita da Gentiloni “no combat”.
Dunque non è “missione di pace”, non è missione di guerra, è missione “no combat”.
In attesa di capire quali saranno le condizioni e le regole di ingaggio dei militari italiani che in territorio nigerino dovranno contrastare le attività terroristiche, ci chiediamo se i terroristi nel Sahel agiscano disarmati…
Lo scopo, come ufficialmente dichiarato, è anche di contrastare il traffico di immigrati illegali da parte di trafficanti, che operano attivamente nel territorio al confine con la Libia.
In attesa di approfondire il reale significato di tale missione, apprendiamo che è anche prevista attività di addestramento delle forze nigerine da parte di militari italiani, tratti dal contingente attualmente impegnato ad addestrare le forze di sicurezza irachene e presso la diga di Mosul.
Condividiamo alcuni pareri di esperti di “cose militari” e di accadimenti geopolitici:
Secondo Gianandrea Gaiani di ''AnalisiDifesa'' dato che i trafficanti agiscono armati non si può davvero affermare che sia una missione no combat. E sempre Gaiani ci fa notare come non sia sufficiente allestire truppe al confine con la Libia, dato il gran numero di piste praticabili nel deserto che possono essere utilizzabili da terroristi e trafficanti.
Inoltre, se l’impegno è quello di fermare davvero il traffico di esseri umani, non è chiaro il motivo per cui non si agisca in modo netto tra Libia e Sicilia, usando navi militari e di ONG, a costi sicuramente inferiori rispetto ad una missione nel deserto.
Il nodo della questione resta su chi comanda tale missione?
Ancora un’osservazione di Gaiani:
“In termini strategici, vale la pena chiedersi se un simile dispiegamento abbia attualmente un senso, soprattutto se effettuato in condizioni di subalternità rispetto ai francesi che continuano ad essere (dal 2011) i più importanti competitor dell’Italia rispetto alla situazione in Libia.”
Comanda dunque la Francia. L’Italia fa la parte del gregario, con quale guadagno?
E la Francia, quali interessi ha nel gestire la situazione?
Il Niger, come altri Paesi africani, usa il CFA (Franco delle Colonie Africane) creato il 26 dicembre 1945 e moneta corrente usata in altri 14 Paesi africani ex colonie francesi e nelle Comore:
Benin, Burkina, Cote d’Ivoire, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal, Togo
Camerun, Centrafrica, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Chad.
La Francia è l’unico Paese al mondo che gestisce ancora la moneta delle sue ex colonie oltre mezzo secolo dopo la loro indipendenza; il franco CFA, FCFA, rimane infatti sotto la tutela del ministero francese delle Finanze.
Dalle ex colonie provengono importanti materie prime (cacao, caffé, banane, legna, oro, petrolio, uranio…) usate dalla Francia e dall’Europa e pagate con il Francoafricano a parità con l’Euro. E grazie alla parità, la Francia continua ad importare le materia prime senza sborsare le valute e le sue imprese possono investire nella zona franco senza rischi di deprezzamento monetario. Queste, grazie alla libera circolazione dei capitali, rimpatriano i profitti in Europa senza ostacoli.
Le multinazionali come Bolloré, Bouygues, Orange o Total ne approfittano particolarmente: “Il sistema permette di garantire i profitti dei colossi europei che non pagano niente per questa garanzia: sono i cittadini africani che attraverso le riserve di cambio collocate al Tesoro francese, pagano la stabilità del tasso di cambio” sottolinea Bruno Tinel, maestro di conferenze e scienze economiche di Parigi.
Dunque, che l’Italia partecipi alla missione in nome della lotta all’immigrazione illegale e al traffico di essere umani al seguito della Francia appare quanto meno riduttivo dell’importanza dell’Italia, a meno che il governo italiano accetti la sottomissione a prescindere.







Maria Clara Mussa
 
  


 
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