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foto di: Daniel Papagni
Fantasmi della liberazione
Paure e pericoli nel Paese stabilizzato, in fase di transizione e in attesa di pace
25-04-2013 - Almeno 74 studentesse di Bibi Maryam nella provincia settentrionale di Tharak, 250 km a nord di Kabul, hanno accusato un malore dopo aver inalato un gas. A lanciare l'accusa di un possibile attentato il portavoce del governatore di Tharak, Sulaiman Moradi.
Purtroppo, non è un caso isolato: giorni fa, in un altro liceo femminile, a Taluqan, una dozzina di studentesse si sono sentite male. E tra maggio e giugno dello scorso anno ci sono stati quattro attacchi al gas in una scuola femminile sempre nella provincia di Tharak… la paura delle donne afghane è che, quando se ne andranno le forze di coalizione occidentali, tutto possa ritornare come prima del 2001, quando alle donne era pregiudicata ogni azione…
Il clima non è buono neppure per gli uomini che collaborano con le truppe occidentali.
Alcuni giorni fa, le autorità afghane hanno reso noto il terribile destino di due ragazzi che lavoravano per una azienda che fornisce servizi logistici ai convogli della Nato: con amputazione di mano destra e piede sinistro, accusati di aver rubato, puniti come ladri; ma il portavoce della polizia di Herat invece, Noor Khan Nikzad, ha detto che i "talebani hanno appositamente diffuso la voce di aver punito dei ladri, ma secondo la nostra inchiesta i due lavoravano per una compagnia di sicurezza privata", come confermato dai membri delle loro famiglia…
Che l’Afghanistan ancora non abbia raggiunto la situazione di equilibrio democratico, oggetto della partecipazione delle nazioni alla missione Isaf, (International Security Assistance Force) è sotto gli occhi di molti.
Anche il sottosegretario agli esteri, Staffan de Mistura, il 19 aprile scorso, nella sua brevissima giornata trascorsa ad Herat, accolto del generale Ignazio Gamba, comandante del Regional Command West, ha giustificato la sua presenza in Afghanistan con due motivi precisi:
“Per portare la mia solidarietà ai soldati italiani, che operano con spirito di sacrificio, tenendo alto il nome dell’Italia e compiendo al meglio e con grande impegno il proprio lavoro in questo Paese; e per testimoniare all’Afghanistan la nostra presenza, che in questo particolare momento in cui avviene la transizione, siano rassicurati che continueremo a collaborare in ogni settore con loro, a difendere i diritti umani, sostenendo in modo particolare i diritti delle donne”.
Si parla di “transizione” a cui si fa riferimento con accenni alla “stabilizzazione” del Paese…come se l’Afghanistan fosse un paziente in sala operatoria, stabilizzato, ma senza una diagnosi liberatoria; stabilizzato, ma non si sa se avviato alla guarigione.
Transizione e stabilizzazione sono termini ricorrenti nelle notizie riportate sui Media, termini ormai metabolizzati, come necessari per riempire di concetti scontati articoli in cui si tratta l’argomento.
Intanto, però, giungono notizie di fatti tragici, provocati da coloro che non vogliono né stabilizzare né rendere libero e democratico il Paese.
I “coloro” son ancora i Talebani, aizzati e allevati da Iran e Pakistan, come ci hanno raccontato i personaggi incontrati a cui abbiamo posto la domanda:
Che succederà dopo il 2014, anno in cui sarà dichiarata chiusa la missione Isaf?
Che succederà nessuno può con certezza pronosticare.
Certo è che la paura corre attraverso la gente.
Gente grata all’amica Italia, per la presenza attiva e collaborativa del contingente italiano, che nella regione ovest del territorio, assegnatogli dalla Nato, è operativo in ogni settore: costruzione di scuole, ponti, pozzi, addestramento di forze di polizia, di piloti, di personale di sicurezza.
”Grazie amici italiani”, sentiamo dire. “Ma non abbandonateci”.
In effetti, secondo quanto stabilito nei vari incontri internazionali avvenuti nel 2012, in Afghanistan è previsto un periodo di dieci anni, in cui ancora sarà attiva la partecipazione delle nazioni che sino ad oggi hanno affiancato il Paese, per aiutarlo a superare i gravi problemi di cui soffre.
Ma i contingenti militari se ne andranno; resteranno mentori, consiglieri, osservatori, che daranno supporto alle forze afghane sempre più autonome e indipendenti nel prendersi le proprie responsabilità in fatto di sicurezza e di governance.
E resta la paura del popolo, a cui si somma la paura di chi, sin dall’inizio della missione, presta servizio nell’ambito dei contingenti occidentali. La categoria degli interpreti ne è un esempio.
Molte nazioni partecipanti alla missione Isaf hanno già garantito asilo ai propri interpreti afghani.
Si tratta del Canada, dell’Australia e degli Stati Uniti; Svezia e Nuova Zelanda stanno pianificando cosa fare nei confronti dei propri interpreti afghani; cosi come la Gran Bretagna. Gli interpreti hanno grande timore di essere lasciati nelle mani dei Talebani, allorché le truppe internazionali lasceranno l’Afghanistan nel 2014.
Da alcuni di loro si solleva un grido di preoccupazione e richiesta di tutela; ci hanno espresso i propri timori: per l’incarico svolto, hanno ricevuto minacce e ritorsioni da parte degli insorgenti, minacce che, nel momento in cui non siano più operative le forze di sicurezza occidentali, potrebbero trasformarsi in tragica realtà.
L’Italia è considerata dal popolo afghano particolarmente amica, pronta a dare aiuto a costruire, insegnare, custodire….deve però ancora fare chiarezza nei confronti dei lavoratori afghani che hanno affrontato i rischi della missione con il contingente italiano, condividendone i pericoli ed esponendosi in prima persona nei confronti di chi non vuole l’Afghanistan libero e democratico.






Maria Clara Mussa
 
  
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