Recensioni

‘’Marcia per la gloria’’ di Luca Gandini e Andrea Rispoli
Un saggio sulla ''prima Campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte''; ne fa una interessante recensione il generale Burgio
27-08-2025 - Desidero oggi segnalare, e recensire, un interessante lavoro – recentemente distribuito da Editoriale Sometti – sulla 1^ Campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte.Su Napoleone si dice che si sia scritto ormai tutto, e che quindi nulla vi sarebbe da aggiungere o modificare.
Peraltro le forze a disposizione – per questa Prima Campagna d’Italia – di colui che doveva ancora diventare “il Grande Corso” ed era solo un giovane rampante e ambizioso generale, erano assai meno cospicue e assai peggio equipaggiate di quelle che condusse sui campi di battaglia di Jena-Auerstadt, Austerlitz, Wagram, Friedland.
La torma cenciosa che condusse in Italia nel 1796-’97 non era la rutilante Grande Armèe restituitaci dai quadri di David e dalle schiere della Vieille Garde di tanti innamorati collezionisti di militaria, pertanto molti storici le hanno dedicato minore attenzione.
Ritenere esaurito lo scibile su Napoleone, allora ancora – almeno all’inizio – “Buonaparte”, appare tuttavia una banalità, alla luce dei contenuti di questo nuovo volume.
Al di là delle dotte descrizioni delle evoluzioni compiute in teatro operativo e in campo tattico – può infatti essere utile e necessario scandagliare radici e conseguenze della prima impresa, incredibile, di questo strano giovanotto, che neppure parlava bene il francese. Una campagna militare che trasformò un intraprendente ufficialetto – di cui evidentemente qualcuno aveva intuito lo straordinario valore – nel personaggio capace di catalizzare l’attenzione dell’intero Vecchio Continente per quasi un ventennio.
Una campagna nata come sussidiaria a quella, asfittica, condotta ai confini nord-orientali della Francia da generali più affermati, che col suo successo salvò la Rivoluzione – al di là di giudizi di valore su quest’ultima – e dette al citoyen Bonaparte il peso politico e il carisma di cui avrebbe avuto bisogno per il futuro.
Un impegno che gli donò la consapevolezza della superiorità tattico-strategica sua, del sistema francese di costituzione dello strumento militare e dei suoi soldati.
E quest’opera, accanto alla cronaca militare, ci illustra come potè affermarsi un giovane privo di natali prestigiosi e quali fossero le sue “armi segrete”.
Soprattutto ci guida a comprendere perché le manovre militari non possano essere limitate a frecce che attraversano pianure e scavalcano montagne, ma vadano completate dalla cura – materiale, morale, psicologica – per quegli uomini che lungo quelle direttrici dovranno scarpinare. Anche senza scarpe.
Napoleone – a mio avviso – non fu la perfezione che a volte ci tramanda la storia.
Se ebbe a distruggere il suo più affilato strumento nelle steppe russe, se non fu capace di trovare una pace equilibrata in Europa, se inanellò una serie d’errori nelle sue ultime campagne concluse a Lipsia nel 1813, e a Waterloo due anni dopo, allora possiamo affermare che fu un essere umano, che raggiunse l’apice della propria parabola, per poi fatalmente tramontare per incapacità d’adeguarsi al mutare degli scenari e alla conseguente crescita degli avversari.
Peraltro in quella Prima Campagna d’Italia – e gli autori l’illustrano magistralmente – ebbe quelle due o tre marce in più che gli consentirono di aver ragione degli antagonisti in un confronto quantitativamente impari a suo sfavore. Ma intellettualmente e spiritualmente del tutto squilibrato a suo vantaggio.
Il dr. Luca Gandini e il generale Andrea Rispoli sono stati capaci, in quest’opera, di cogliere gli aspetti che ne fecero un “fuori categoria” del suo tempo.
Al tempo stesso fanno intravedere la sua unica debolezza, profilatasi nel Tirolo e confermata sanguinosamente in Spagna: la scarsa predisposizione – in termini d’idee – ad aver ragione di una guerriglia di popolo.
E del resto fu in Spagna che Napoleone iniziò ad avere “spezzate le reni”, completando l’opera in Russia.
Contestualmente ci fanno comprendere che senza “Bonaparte” – come preferì firmarsi una volta raccolti i primi successi nella penisola italiana – la storia d’Italia forse non avrebbe avuto la necessaria spinta per far comprendere ai nostri progenitori di potersi affrancare dal secolare dominio straniero.
Carmelo Burgio

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