11:34 giovedì 28.03.2024

Reportage - Missioni internazionali



foto di: Daniel Papagni
''Vogliamo il Kurdistan indipendente, come gli altri Paesi del mondo''
Intervista esclusiva con il generale Jamal Mortka: Occorre risolvere la questione curda e l'Italia potrebbe essere importante testimone
27-06-2016 - “Domani sarà sferrato l’attacco…” Così esordisce il capitano N., Peshmerga, padre di una bimba di un anno, mentre ci accompagna al campo in cui ci sta aspettando il Comandante dei Peshmerga, generale Jamal Mortka, considerato dal popolo curdo l’eroe che ha battuto il Daesh nella zona di Gwer.
“L’attacco, che sarà sferrato nella zona di Mosul, ci dice il capitano, è già stato programmato dai comandanti e …sarà seguito da uno ancora più pesante nei giorni prossimi”.
Mentre viaggiamo verso il comando dei Peshmerga, ci scambiamo poche parole su tale argomento, perché non può essere raccontato nei minimi particolari e, soprattutto, non possono essere rivelati i programmi decisi; però sappiamo che impiegherà due divisioni di cristiani Peshmerga insieme a rifugiati siriani curdi e che sarà un momento cruciale nella lotta contro il Daesh.
E così è stato: lunga preparazione, i cui risultati si sono poi conosciuti domenica 12 giugno scorso, con un attacco congiunto, truppe irachene e, per la prima volta, Apaches americani, nella Valle del Tigri, vicino a Qayyarah, a sud di Mosul.
rudaw.net/english/middleeast/iraq/130620162
Siamo in Iraq da poche ore e già entriamo nel cuore della questione per la quale abbiamo affrontato il viaggio: l’azione dei Peshmerga per difendere i confini del proprio territorio e respingere l’avanzata del Califfato.
Percorriamo la strada, controllata da alcuni check point e disseminata di alti dissuasori stradali sull’asfalto.
L’auto sobbalza, la velocità comunque non diminuisce, non si fermano davanti a nulla i Peshmerga, figuriamoci se un qualsiasi intoppo stradale li intimorisce.
Arriviamo nel luogo in cui il generale Mortka ci attende per l’intervista: un campo militare attrezzato.
Peshmerga ed Esercito Zaravani, tutti facenti parte delle forze armate Barzani.
Ci accolgono come se fossimo amici da lungo tempo.
Sorrisi, strette di mano vigorose, alcuni vestiti in uniformi regolari altri con l’abito il tradizionale; con grande cordialità, ci chiedono di essere fotografi insieme a loro ed al figlio di uno di loro, emblema di come sin da piccoli siano educati all'amore per il proprio Pese.
In un angolo della stanza, alcuni pregano Allah affinché li protegga nel corso delle loro operazioni in difesa della propria terra....l'attacco è programmato e sono decisi ad affrontare il nemico.
Non vogliono conquistare territori che non sono mai appartenuti a loro; i Peshmerga vogliono difendere i propri confini, vogliono proteggere i propri conterranei, vogliono allontanare il Califfato sanguinario che definiscono “malato di crudeltà”.
Fieri combattenti al comando di un uomo carismatico qual è il generale Mortka, lo ascoltano con grande rispetto e ammirazione.
Nell’ufficio in cui ci riceve, seduto sulla sedia a rotelle, avendo perso l’uso delle gambe in battaglia, il generale sta conversando con alcune signore curde, che espongono le esigenze ed i problemi attuali: una è la famosa attrice Ibrahim Shaba Lallo, impegnata nel sostenere i diritti delle donne; l’altra è la chairman dell’Associazione curda delle Donne imprenditrici, Trska Ehssan Al-Asaadi.
E’ come ritrovarsi tra amiche: ci stringiamo le mani, siamo felici di conoscerci, sono donne forti e combattive, come i loro compatrioti.
Il generale ci ospita con cordialità e con l’immancabile ottimo bicchiere di tchai, il te che ogni soldato beve in grandi quantità nel corso della giornata e che ha accompagnato ogni nostra visita nei vari fronti a pochi chilometri dal Daesh.
Chiediamo al generale come immagina il futuro del suo Paese:
“E’ una lunga storia, quella del Kurdistan; prima di queste azioni sanguinarie il mondo non conosceva il paese; ora, invece, è sulle pagine di tutti i giornali, tutti conoscono il Kurdistan”.
E il mondo offre aiuto?
“Adesso tutto il mondo conosce i Curdi e li deve difendere. Se non difenderanno la nostra popolazione allora sarà una storia dolorosa per la pace di tutto il mondo”
“Dopo la seconda Guerra Mondiale, continua Mortka, l’Europa ha capito che occorre essere uniti e collaborare; infatti non vi sono più frontiere tra i Paesi europei; ogni Paese ha la propria indipendenza.
Occorre adesso risolvere il problema di quelle nazioni che non hanno ancora la propria indipendenza. Occorre risolvere la questione curda.
La prima volta che hanno tagliato il Kurdistàn era il 1639; poi, una guerra durata 300 anni senza risultato; dopo nel 1916 altri problemi, la nostra terra suddivisa in 4 pezzi, invece di una nazione…riducendo la forza dei Curdi. Ma si deve capire che ora siamo grandi forti e uniti.”
Gli chiediamo come considera il contributo dell’Italia, nella lotta al Daesh, al fianco dei Curdi.
“Dal primo giorno di lotta contro Daesh l’Italia si è assunta responsabilità e ha aiutato i Curdi, i Peshmerga; noi siamo molto grati all’Italia.
Ma aspettiamo una parola politica italiana per difendere i Curdi; quanto l’Italia farà per il Kurdistan difendendolo, dal Kurdistan riceverà il doppio.”
NOTA
SYKES-PICOT, l’accordo che ancora ferisce il Kurdistan
di Federico Manzella

L’accordo Sykes-Picot, tra Francia e Gran Bretatagna, del 16 maggio 1916, ha determinato il destino del popolo curdo, risultato poi principale vittima dell’intesa.
Siamo in piena Prima Guerra Mondiale; le due ex potenze coloniali sanciscono la spartizione della Turchia asiatica, ovvero dei territori meridionali e anatolici dell’Impero Ottomano. Palestina ed Iraq all’Inghilterra, Siria e Libano alla Francia, garantendo ad entrambe l’accesso al mare e il controllo di aree ricche di acqua e di petrolio.
A causa dell’accordo, che non tenne minimamente conto delle appartenenze etniche, i curdi vennero divisi in quattro stati: Turchia, Iran, Iraq e Siria. Tali Paesi accettarono di essere degli Stati nazionali con la consapevolezza che la loro stabilità interna sarebbe dipesa dai curdi insediati sui loro territori.
Ogni richiesta di autonomia da parte curda venne pertanto considerata un pericolo per la loro sicurezza.
La strategia adottata di conseguenza fu la repressione e l’uccisione dei Curdi, nonché la negazione di qualsiasi loro diritto.
Oltre 90 anni è durato il conflitto tra questi stati e la popolazione curda, divisa contro la propria volontà da arabi, turchi e persiani.
I Curdi oggi a livello globale sono circa 40 milioni, il popolo più numeroso senza uno status giuridico e politico.
A partire dal 2000 è diventato palese che non è più possibile mantenere l’impostazione del negazionismo dei Curdi e del Kurdistan.
Dal 2003 è stata istituita di fatto la regione autonoma curda come parte dell’Iraq federale. Tuttavia nello scenario geopolitico attuale non è contemplata nessuna correzione dell’accordo Sykes-Picot.
Ecco perché il 16 maggio scorso, in occasione del centenario dell’accordo, il presidente della Regione Curda dell’Iraq Massoud Barzani ha dichiarato che quell’accordo va definitivamente sepolto e che si ha bisogno di una ridefinizione dei confini. Ecco perché tutta la leadership curda contesta quell’accordo diplomatico del 1916, i cui effetti condizionano ancora oggi il Medio Oriente


Maria Clara Mussa
 
  


 
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