14:47 mercoledì 01.05.2024
Energia: Focus sulla sicurezza internazionale
Un seminario organizzato per anticipare le questioni da discutere al G7 tenutosi il 5/6 maggio scorso
fotografie di: cybernaua

23-05-2014 - L'occasione per ascoltare argomenti interessanti sulle attuali questioni energetiche, era fornita dall'invito a partecipare al seminario organizzato, il 5 maggio scorso, dalla rivista "Formiche", presso il  Centro Studi Americani
Titolo del seminario: "Verso il G7 Energia Focus sulla sicurezza internazionale".
La tavola dei relatori era di interesse, anche mediatico, dati i nomi dei partecipanti:
il vice ministro dello sviluppo Economico, Claudio De Vincenti, i presidenti delle commissioni Esteri e Industria del Senato, Pier Ferdinando Casini e Massimo Mucchetti, il country manager di Tap, Giampaolo Russo e il direttore della Nato Defense College Foundation, Alessandro Politi.
Dopo il saluto del presidente del Centro Studi Americani, Gianni De Gennaro, moderati dal fondatore della rivista, Paolo Messa, i relatori hanno dato una propria visione sulla scelta della gestione dell'energia.
Casini sottolineando come si tratti sempre di problemi di mercato, ha descritto la questione come "scelta politica". Il dilemma tra gas americano e gas russo non è di facile soluzione, dato il prezzo del gas e considerando, anche, sia le strutture ancora da realizzare sia gli errori commessi dall'Europa.
Il problema dell'Ucraina incide sulle scelte, cosi come l'interdipendenza con la Russia. Secondo Casini, l'Italia "è ancora all'età della pietra".
Mentre il vice ministro Vincenti sosteneva che occorre seguire lo scenario indicato dalla comunità europea, sottolineando come "siamo determinati ad andare sino in fondo" considerando il "south stream" come piano di diversificazione delle rotte.
Su tale tema riferiamo un interessante articolo del Sole24ore
www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-04-30/south-stream-avanti-senza-piano-b-063933.shtml?uuid=ABSRhkEB
Ma l'intervento maggiormente interessante è stato del professor Politi, direttore del Nato Defence College Foundation, che ha mostrato dettagliatamente quali possono essere le soluzioni strategiche del problema che riguarda la sicurezza energetica.
La Russia, che è anche un grande creditore, possiede una enorme ragnatela per la distibuzione del gas che produce, mentre il Qatar sta emergendo, studiando la possibilità di convogliare il gas in Europa attraversando la Grecia.
Il mondo di nessuno, come titola una delle slides proiettate, sottolinea un neo-multilateralismo tra potenze in equilibrio, un ecosistema come interesse generale planetario, una diplomazia preventiva e gestione della crisi, indicando come unico attore gli USA.
Sulla questione energetica, chiede Politi, L'Italia è preparata ad affrontare il futuro?
"No, peccato".
Purtroppo il seminario si è concluso senza la possibilità di formulare domande, tipo chiedere all'onorevole Casini come mai l'Italia è "all'età della pietra", nonostante la sua costante presenza in molteplici incarichi politici, di governo e di rappresentanza istituzionale; come mai in Italia si discute da tanto tempo di sicurezza energetica, ma ancora
è impellente il rischio che il progetto di far diventare l'Italia centro di smistamento della fonte energetica in Europa (gas proveniente dall’Azerbaijan) non si possa realizzare, a causa delle continue divergenze politiche internazionali sul tema.
Qualche "interferenza", non molto gradita dai relatori al tavolo, è provenuta da un ex manger dell'Eni, il professor Renato Urban, che chiedeva agli"esperti" se mai davvero avessero letto un "contratto gas".
Urban, uomo cresciuto alla scuola di pensiero di Enrico Mattei, è grande conoscitore delle questioni energetiche e del mercato, essendo anche stato CEO della Urban Gas & Power.
In una sua intervista, rilasciata alla "Staffetta petrolifera", sostiene che per il gas è il rapporto domanda/offerta che crea il mercato, non le infrastrutture
Egli sostiene che più che all'economicità delle forniture, peraltro assolutamente non garantita dalla separazione proprietaria tra Eni e Snam, occorre guardare alla sicurezza degli approvvigionamenti. E garantire l'integrità di tutta la filiera.
Riteniamo utile, per comprendere a fondo quali siano i problemi che attanagliano l'Italia, schiava di compromessi con patti siglati nel tempo, riportare l'intera intervista, che gentilmente il professor Urban ci ha consegnato:
Il professore Renato Urban, attraverso una serie di risposte alle domande che si pone chi vuol capire i meccanismi di formazione del prezzo del gas in Italia, già in linea con quelli europei, avverte che più che all'economicità delle forniture, peraltro assolutamente non garantita dalla separazione proprietaria tra Eni e Snam, occorre guardare alla sicurezza degli approvvigionamenti. E garantire l'integrità di tutta la filiera.
Perché il gas naturale in Italia costa di più che in altri paesi europei, come viene riportato dalla stampa quotidiana?
Il ciclo del gas naturale è diviso in due parti, quella industriale che è di pertinenza delle compagnie petrolifere e quella fiscale che appartiene alle competenze dello Stato.
Alla fine del ciclo industriale c'è la vendita del gas al cliente finale, con un margine commerciale. Il ciclo fiscale si pone alla fine di quello industriale, con l'imposta sul valore aggiunto, accise e balzelli vari che vengono a incidere sul prezzo del gas. Quando lo Stato ha bisogno di fare cassa velocemente, impone questi balzelli sulla vendita del prodotto finale, che non si limita al solo gas naturale, ma tocca anche altri prodotti petroliferi. Il prezzo finale al consumatore non ha nulla a che vedere con il prezzo che dovrebbe essere corrisposto dal cliente finale, in un clima di sano ciclo produttivo. Se si fanno paragoni con i prezzi del gas di altri Paesi, questi devono attenersi al solo prezzo industriale prima delle tasse.
Come si forma il prezzo FOB del gas naturale alla frontiera austriaca ?
L'Eni acquista il gas al punto di delivery di Baumgarten a un prezzo industriale FOB che deriva da un contratto ventennale take or pay. Questo prezzo è ancorato al prezzo del greggio di riferimento, che per l'Europa è costituito dal Brent, tramite i suoi prodotti gasolio e oli combustibili. Quando il prezzo del Brent sale, salgono anche quelli dei prodotti, e di conseguenza anche il prezzo del gas naturale. Quando invece il prezzo del Brent scende, anche quello correlato del gas naturale scende. Va tenuto presente che nei contratti take or pay il prezzo è calcolato mensilmente e normalmente sulla media mensile dei prezzi di gasolio, ATZ e BTZ, degli ultimi nove mesi precedenti quello di fatturazione. In questo modo si smussano i picchi di prezzo sia verso l'alto sia verso il basso.
Che differenza c'è tra il prezzo del gas naturale pagato da Eni a Gazprom e quello pagato dagli importatori austriaci a Baumgarten?
L'Eni acquista circa 24 miliardi di standard metri cubi per anno dalla Gazprom, mentre la domanda di gas dell'Austria è di circa 10,1 miliardi di standard metri cubi nel 2010. Si tratta di mercati, quello italiano e quello austriaco completamente differenti. La politica di Gazprom è quella di dimensionare il prezzo del gas in maniera da non distorcere il mercato downstream creando una competitività senza senso nella filiera del mercato che poi si potrebbe ripercuotere a catena sulle negoziazioni dei prezzi degli altri contratti europei. I prezzi FOB alla frontiera austriaca sono quindi molto simili, sia tra Eni e società austriache, che con quelli destinati al mercato tedesco. Il prezzo invece al mercato finale deve tenere conto dei relativi costi di trasporto sui singoli mercati, che tengono conto del costo di trasporto sulla rete austriaca (TAG) per l'Eni e poi su quella nazionale in Italia (RNG).
Quali sono i costi di trasporto che Eni deve affrontare per portare il gas alla frontiera di Tarvisio?
Il TAG (Trans Austria Gasleitung), società attualmente controllata dal MEF, tramite la Cassa Depositi e Prestiti che ne è la proprietaria, applica una tariffa di trasporto che viene ogni anno amministrata dall'Authority per il gas austriaca. Si tratta quindi di una tariffa che si può rilevare sul sito del TAG e che vale per tutte le società che vogliono trasportare il gas in Italia. Quando l'Eni, sotto la spinta europea ha dovuto cedere la proprietà del TAG, ne ha però conservato i diritti di transito, detti anche di ship or pay. Questi diritti, che sono strettamente legati al contratto di supply del gas acquistato da Gazprom, sono comuni a tutte le grandi pipelines costruite proprio per questo fine. Senza il diritto ship or pay non si costruirebbero gasdotti internazionali di questa grandezza. Sul TAG restano, però, disponibili e sono utilizzate anche capacità di trasporto per compagnie terze, sempre con le tariffe previste anche per Eni.
Come vengono calcolate le tariffe di trasporto sulla rete nazionale gasdotti italiana?
Anche in Italia, come in Austria, le tariffe vengono decise dall'Autorità per l'energia (Aeeg) per ogni stagione termica. Sono pubblicate sul sito di Snam Rete Gas e sono quindi di pubblico dominio. La metodologia di calcolo della tariffa sulla RNG, detta di entry/exit, è una via di mezzo tra quella lineare chilometrica, in cui si paga in relazione alla distanza tra il punto di acquisto e quello di riconsegna, e quella a francobollo, che è simile a quella postale, cioè costo eguale per tutti, a prescindere dalle distanze. La capacità di trasporto sulla rete nazionale è sufficiente a garantire il trasporto sia dell'Eni sia dei Terzi. Il trasporto sulle reti comunali viene gestito con gli stessi criteri. Ciascuno è libero di scegliere il proprio fornitore e di cambiare contratto di acquisto. La società che gestisce la rete comunale della distribuzione è sottoposta alle stesse regole della RNG, tramite tariffe amministrate dall'Aeeg.
Come viene calcolata la tariffa di stoccaggio?
Siccome la domanda di gas naturale nel settore civile è alta d'inverno e bassa d'estate, una parte del gas importato nei mesi caldi viene messa a stoccaggio e riutilizzata in quelli invernali. Non si tratta di un problema di volumi ma di domanda di punta, che la rete non sarebbe in grado di soddisfare nei periodi molto freddi. L'Eni, tramite la Stogit, controlla il sistema della gestione delle punte, ma la tariffa viene anche in questo caso determinata dall'Aeeg, che per ogni anno termico determina i costi connessi. Lo stoccaggio è riservato in via prioritaria a soddisfare al fabbisogno del settore civile, che è quello più delicato da gestire. E la tariffa di stoccaggio della Stogit è la più bassa d'Europa, come si evince dal grafico nella pagina accanto.
Come viene fissato il margine commerciale per la società che vende il gas all'utente civile finale?
Il margine commerciale per la gestione dei contratti ai clienti finali è stabilito dall'Aeeg, tramite il prezzo cui la società di gestione può vendere il gas al cliente finale. Tale prezzo è determinato dall'Aeeg tramite una formula additiva duale, che tiene conto del prezzo iniziale di acquisto con la formula take or pay e di un delta energetico. In pratica, anche questo settore ha un prezzo quasi fisso, perché l'unica variante può essere costituita da piccoli sconti commerciali per guadagnare quote di mercato.
Come viene determinato il prezzo del gas all'utente finale?
Il prezzo al consumatore finale deriva quindi da una sommatoria di tutti i costi che si sono analizzati lungo la catena del ciclo del gas e sono, almeno per la parte industriale, quasi fissi. Vi è da osservare che un cliente come Eni paga a Gazprom un prezzo certamente inferiore a quello che pagherebbe un altro compratore, sempreché Gazprom stipuli con questo un contratto take or pay, cosa difficile se il cliente non ha un mercato di almeno un miliardo di metri cubi standard di gas per anno. Anche in questo caso il prezzo sarebbe leggermente superiore a quello di un cliente come Eni, che ne compra circa 24 miliardi di standard metri cubi per anno e per una durata del contratto di vent'anni. Come si vede sul settore industriale non si può incidere molto per ridurre il prezzo del gas al cliente finale, su cui invece gravano accise, balzelli vari su cui poi viene anche inserito il peso dell'Iva, che oggi è del 21%.
Che cosa si potrebbe fare per ridurre il prezzo del gas naturale in Italia?
In un mercato libero il prezzo di un bene deriva dal rapporto tra la domanda dello stesso e il supply. In Italia il mercato è libero ma le fonti di approvvigionamento sono limitate. Su una domanda annuale di circa 80 miliardi di standard metri cubi solo 9 miliardi provengono dalla produzione nazionale, mentre il restante viene importato tramite gasdotti con contratti take or pay da Libia, Algeria, Olanda, Norvegia e Russia, e con navi gasiere da Qatar e Nigeria. Siccome si tratta di contratti ventennali, con investimenti dell'ordine di circa 5-8 miliardi di dollari per un impianto da otto miliardi di metri cubi standard per anno, per venti anni di durata, e devono essere date garanzie bancarie patrimoniali di questa entità, solo l'Eni è in grado di far fronte a tali richieste finanziarie. Va ricordato che il prezzo di vendita del gas libico all'Italia è stato determinato dopo una difficile negoziazione durata circa due anni, quando la Libia era sotto embargo Onu. Per quanto riguarda invece il contratto di acquisto negoziato dalla Snam con Olanda, Norvegia, Russia e Algeria, il prezzo anche qui è derivato da lunghe e complicate negoziazioni. Se consideriamo il baricentro dei consumi italiani a Minerbio, si può indicare che il prezzo dei vari contratti è stato definito a net back, partendo dal baricentro verso il delivery point, sommando i vari costi di trasporto in modo che il costo dei vari contratti sul baricentro fossero similari. Va considerato che questa filosofia va sempre negoziata con la controparte venditrice, che come criterio di negoziazione ha quello di incrementare gli utili della sua società.
Negli Usa il prezzo del gas è di circa 3-4 $/MMBTU, circa un quarto del prezzo italiano. Lì però il mercato non solo è libero, ma il supply è molto più elevato della domanda, anche grazie alle recenti scoperte di gas shale. L'unico segmento su cui si potrebbe agire per ridurre il prezzo è relativo al ciclo fiscale, ma questo tasto non viene mai attivato, considerando le tasse su benzina e gas come lo zoccolo duro delle entrate del bilancio dello Stato.
Ma non sarebbe possibile incrementare il mercato spot, dove i prezzi non sono decisi dai contratti take or pay ma dal rapporto domanda offerta?
Certo, questo sarebbe possibile, ma qui in Italia manca la materia prima per creare il mercato spot, non c'è gas a sufficienza. In Italia non esiste il mercato spot, quello del PSV è un posizionamento geografico, non un mercato spot. La crisi economica aveva creato un rallentamento dell'economia e molte società erano andate in take or pay. Per non incorrere nelle penalità contrattuali previste per chi ritira meno gas di quello concordato, hanno venduto delle quantità di gas a prezzo inferiore al take or pay, con prezzi simili allo spot del mercato inglese, limitando quindi i danni maggiori. Non si trattava quindi di un vero mercato spot.
Se si creassero nuove strutture d'importazione, gasdotti o impianti LNG, non si potrebbe costruire un mercato in cui l'offerta superi la domanda e quindi i prezzi scendano?
Le strutture sono certamente importanti, ma in questo settore sono create solo al servizio del mercato. Ci vogliono circa dieci anni per passare dalla fase di studio di un giacimento a gas al suo ingresso sul mercato finale. Le strutture vengono create solo al servizio dei singoli giacimenti. In questo contesto nascono i contratti take or pay. Non si mette in produzione un giacimento a gas se prima non si sono definite le vendite con contratti take or pay per almeno l'80% della produzione annua per venti anni. Questo è il vero limite del mercato del gas. Creare delle strutture di trasporto o dei terminali di ricezione se poi non c'è il gas significa andare incontro a disfatte di tipo economico, anche se ciò è molto difficile che avvenga. Nessuna banca finanzierebbe un progetto se non vedesse garantita la redditività (IRR%) dell'investimento. Nessuna assicurazione garantirebbe le banche sui ricavi, se il progetto non avesse un contratto take or pay di lunga durata che garantisca la redditività dell'investimento con la presenza del gas. Nel gas naturale le strutture non creano il mercato; il mercato lo crea il rapporto domanda offerta della materia prima.
Come commenta la proposta di separare il gas naturale dalle strutture della Snam, ovvero il software dall'hardware come si dice in gergo?
Nel petrolio e nel gas quello che ha sempre deciso il da farsi è stato il software, cioè la materia prima, non le strutture impiantistiche a valle; il petroliere non il benzinaio.
La separazione proprietaria viene propugnata da alcuni settori economici con l'asserzione che farebbe diminuire il costo del gas al cliente finale, sul mercato italiano. Accanto a quest'affermazione ne esiste anche un'altra, quella per cui la separazione proprietaria farebbe aumentare il valore delle due società, Eni e Snam. In pratica un'operazione finanziaria miracolosa, che farebbe diminuire il costo del gas per l'Eni, non si sa come, e quindi il prezzo del gas naturale all'utente finale.
Nel contesto dell'operazione dovrebbero crescere i valori degli assets delle due società separate, Eni e Snam, non si sa come però. Non vorrei che questo incremento dei ricavi venisse prodotto licenziando il personale e quindi migliorando i ricavi. Come si è visto in precedenza, nulla si può fare dal lato dei costi, che sono amministrati dalle varie Autorità, e quindi la società che compra Snam non può incidere sulle tariffe italiane.
Ma allora cosa c'è dietro a questo continuo assillo sulla stampa di strutture finanziarie, soprattutto estere, che spingono verso la separazione proprietaria?
Francamente non lo so. Esisterebbe però, secondo fonti di stampa, un piano per ridimensionare l'Eni a livello mondiale, come esiste un piano per destabilizzare l'euro e l'Unione europea. L'Eni è uno strumento di politica economica di grande rilevanza mondiale, che consente di dialogare con i paesi produttori di petrolio, di muovere enormi capitali bancari per i suoi investimenti, di essere presente nel settore dell'ingegneria, della posa delle grandi opere marittime con la Saipem. Separare la Snam dall'Eni sarebbe un colpo da maestro per gli eventuali acquirenti, soprattutto perché questi metterebbero le mani sulla Stogit, che diventerebbe la gallina dalle uova d'oro. Le tariffe italiane di stoccaggio sono un terzo di quelle medie europee. Chi ha la forza di staccare la Snam dall'Eni avrà domani anche la capacità di far approvare dall'Unione europea una direttiva che fissi delle tariffe univoche per lo stoccaggio per tutta la Ue. Sarebbero tutti d'accordo, perché in Italia le tariffe di stoccaggio aumenterebbero, mentre nel resto dell'Europa sarebbero in gran parte in diminuzione. Non mi sembra che questa separazione vada nella direzione di aiutare lo sviluppo dell'Italia quanto quello di peggiorarlo.
Se si operasse sull'Ue, uniformando le tariffe a livelli superiori a quelli attuali, specie per lo stoccaggio, allora i ricavi salirebbero, a spese però del consumatore italiano e delle industrie italiane. Per quanto riguarda l'Eni, il ciclo economico del gas, con queste tariffe, non subirebbe nessun cambiamento, se la formula gas di acquisto restasse la stessa, i costi di trasporto rimanessero invariati, lo stoccaggio continuasse con le stesse tariffe e il margine delle varie Italgas restasse sempre sotto il controllo dell'Aeeg. L'unica ripercussione della vendita sarebbe una riduzione del valore patrimoniale della società Eni, con riduzione del valore delle azioni, e conseguente riduzione del dividendo da distribuire agli azionisti, tra cui spicca il MEF. Sarà il mercato a giudicare, se la separazione societaria dovesse avvenire, la giustezza delle nostre affermazioni. L'unico lato positivo sarebbe quello dell'incremento momentaneo delle entrate, come sostengono i fautori della separazione. L'Eni non ha bisogno di vendere i gioielli di famiglia, ma se qualche agenzia potrebbe forzare la mano abbassando il rating e trovasse campo fertile, … allora tutto potrebbe accadere.
Quali sarebbero le ripercussioni sull'Eni di una simile separazione? In economia il primo problema con cui ci si deve confrontare è quello legato alla scarsità delle risorse, e quindi alla sicurezza del supply. Il problema del prezzo viene dopo, e segue il rapporto domanda offerta del mercato. Anche nell'energia è così. L'Italia e non solo, si deve confrontare con una scarsità di risorse energetiche domestiche e quindi deve cercare all'estero petrolio e gas per far funzionare il suo settore energetico. Grazie a Enrico Mattei, l'Italia siede a pieno titolo nel consesso petrolifero e gasiero mondiale e l'Eni tratta alla pari con tutte le majors americane ed europee, è un interlocutore privilegiato delle NOCs e con tutte ha joint ventures in tutto il mondo. L'Eni inoltre ha società, come la Snam, la Saipem, la Snam Progetti e la Stogit, che sono all'avanguardia nel settore tecnologico degli idrocarburi. L'Eni garantisce al nostro Paese la sicurezza del supply e prezzi, prima delle tasse, in linea con quelli del mercato europeo.
Come si colloca la separazione proprietaria Eni/Snam nel contesto energetico mondiale?
Con una parola sola: controcorrente! Nel mondo del petrolio e del gas le iniziative della concorrenza sono per lo più rivolte a mergers e acquisitions, come nel caso Usa di Exxon Mobil e di ConocoPhillips, di Total Elf e Petrofina in Francia e di E-On e Ruhrgas in Germania, per restare in Europa, per citarne alcune delle più importanti. Nella classifica sulle prime 50 società mondiali del settore, l'Eni è già scivolata dall'undicesimo posto al quattordicesimo, per capitalizzazione. Con la separazione societaria scivolerà nella parte bassa di questa classifica e il suo potere negoziale con le NOCs verrà fortemente ridimensionato. Questo per parlare solo di quanto riguarda l'assetto societario e il suo ranking nel panorama mondiale dell'energia. Se invece fermiamo la nostra attenzione al mercato del gas, anche in questo settore si rischia di andare nella direzione opposta di quella intrapresa dalle altre majors del settore. Dopo Fukushima, per far fronte alla domanda di energia elettrica, il Giappone si sta convertendo a un massiccio ricorso al gas naturale. Negli Usa, con le scoperte di gas shale e di nuove tecnologie di fracting, le riserve certe stanno crescendo a un ritmo tale da indurre società come la Chenière, che ha scelto, per trasformare gli impianti di ricezione in impianti di esportazione di LNG, una società come Bechtel come contrattista per i primi due treni del suo impianto di Sabine Pass. Fra non molto gli Usa saranno il paese con le maggiori produzioni di gas e di petrolio, sorpassando sia la Russia sia l'Arabia Saudita e diventeranno esportatori di gas naturale. Questa situazione di mercato consentirà di trasformare molte centrali a carbone, che hanno alte emissioni di CO2 in centrali a gas, che dimezzerebbero le emissioni e quindi consentirebbero agli Usa di raggiungere i target di Kyoto. Possibile che nessuno si chieda perché nei Paesi più progrediti dell'Ocse si potenzino i campioni nazionali e invece in Italia si faccia il contrario. Quando l'Exxon stava per perdere la leadership mondiale del settore energia, si fuse, con il beneplacito della SEC americana, assorbendo la Mobil e restando al primo posto nel mondo. Non si tratta solo di ranking, ma di economie di scala, come insegnano tutti i trattati di economia.
Che cosa pensa di questa proposta del Governo, che per la verità non è stata ancora definita nei dettagli?
L'Eni è un patrimonio Italiano. Il Governo, a mio modesto parere, sbaglierebbe a ridurre il peso dell'Eni nel contesto internazionale energetico, perché la prima cosa di cui si deve occupare è la sicurezza del supply, che Eni fino ad oggi ha garantito con il supply anche in momenti molto difficili, come quelli dell'inverno molto freddo del 2005/6.
Molte compagnie Usa stanno fremendo per esportare il surplus di gas del mercato, ma il Department of E-nergy ha posto loro un brusco freno dicendo che prima di esportare LNG si deve esaminare l'impatto di tale decisione sulla sicurezza energetica dell'America.
Il problema del prezzo, che viene a valle della sicurezza, si dovrebbe lasciare decidere dal mercato della domanda e dell'offerta. La possibilità di intervenire sul prezzo finale del gas naturale è veramente limitata. L'eccesso di regole a protezione del mercato finisce per distruggerlo, come la storia l'ha già dimostrato nei paesi a economia di mercato controllata. Sulla proposta del Governo per dare un giudizio finale sarà necessario aspettare i dettagli dell'operazione, per sapere quale sarà la quota che viene ceduta alla CDP. Quello che si può dire per ora è che la centralità della sicurezza dell'approvvigionamento di gas naturale del Paese viene spostata al di fuori della competenza dell'Eni, che non potrà più essere chiamato a fare il prestatore di ultima istanza. Questo è il vero punto debole della proposta, che rischia di lasciare il settore civile del paese in difficoltà nel caso di crisi di supply. Per ovviare a questo sarebbe opportuno che nella divisione degli assets all'Eni restasse almeno il controllo della Stogit, che garantisce il rifornimento delle punte di domanda in caso di inverni molto freddi. In sintesi, quello che deve essere prioritario nella divisione societaria è il problema della sicurezza del supply. Tutti gli altri vengono dopo.
www.staffettaonline.com/articolo.aspx?ID=78728
Maria Clara Mussa


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