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Storie dimenticate

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foto di: Daniel Papagni
Azzurro fantasma
Si muoveva, la figura, senza lasciare traccia di sé: lungo il muro, nella via in cui passava, non scorreva neppure la sua ombra
03-09-2009 - Questo racconto è stato pubblicato nel 2004.
I Taliban, "padroni" del potere in Afghanistan, avevano sconvolto la vita delle donne, costringendole ad una "servitù" intellettuale e fisica, in nome di un ripristino della "virtù". Situazione che non pare mutare.
Lo pubblichiamo in questi giorni di attesa dei risultati delle elezioni in Afghanistan....quale un augurio di pace e di cambiamenti nel futuro di tutta la popolazione....della gente che vive nei villaggi, di quella che vive a Kabul, città un tempo ricca di cultura e di bellezze architettoniche...chi vincerà la sfida elettorale dovrà lavorare molto, perchè la vita ritorni in quella normalità che per noi è scontata...


Azzurro Fantasma
Nell’assordante silenzio, del suo cuore sentiva solo il battito della paura.
Il resto era vuoto assoluto. All’angolo della strada, dove il crocchio di uomini barbuti parlava animatamente, attraversava la strada senza farsi notare.
Nessuno le rivolgeva la parola, con nessuno ella parlava.
Agli uomini era vietato rivolgerle la parola, ed a lei era proibito osare di parlare con loro.
Rischiava qualche condanna.
Era stato così decretato, da alcuni anni, dal ministero per la sconfitta del vizio e il ritorno della virtù.
Meglio continuare a camminare in silenzio, come un fantasma, se voleva continuare a vivere ancora, in quel 1379, Inshallah.
Si muoveva, la figura azzurra, senza lasciare traccia di sé: lungo il muro, nella via in cui passava, non scorreva neppure la sua ombra.
Camminava con le pantofole leggere, senza fare alcun rumore.
Improvvisamente, udì un leggerissimo fruscìo.
Volteggiava nell’aria, a zig zag, come per evitare di essere intercettata, una colomba.
La figura azzurra osservava quel volo irregolare.
I suoi occhi cercavano di fissare un punto preciso, come per fermarlo.
Lo guardava, attraverso la maschera di cotone che le ricopriva il volto, come da una grata di prigione.
A scacchi.
Il mondo appariva come una piccola scacchiera. E, su quella scacchiera, il volo a zig zag le regalava un momento diverso.
Vivo.
Non le parve vero, ad un tratto, di udire una voce: «Chi sei, da dove vieni, dove stai andando?»
Sorpresa, impaurita per lo strano tono della voce, non arrogante, come era abituata a sentire per strada o in casa, la figura si arrestò.
Qualcuno le aveva rivolto la parola. A lei, inesistente corpo avvolto nel lungo barracano.
Doveva rispondere? Poteva rispondere?
E se si fosse trattato di un tranello?
Osservava la colomba, azzurra come il suo abito, azzurro dal lunedì alla domenica, anche se non si ricordava più in quale giorno stesse vivendo, anzi, fosse sopravvissuta.
Azzurra era la colomba, azzurra come il cielo, per non farsi notare, per passare inosservata, per poter sopravvivere; perché anche le colombe non potevano esistere, in quel tempo, a Kabul.
La legge imponeva agli abitanti di non allevare piccioni. Perché?
Già, perché?
Che male possono fare piccioni e colombe? Sporcare le strade ed i tetti, i balconi o i cappellini delle signore per strada?
Nulla di tutto ciò.
Né cappellini, né tetti, né lindi balconi nel paesaggio di Kabul.
Solo strade sporche e piene di pozzanghere di acqua maleodorante e infetta, in cui spesso gli abitanti spegnevano la loro sete, spegnendo con essa anche la propria vita.
Allora, che dànno possono arrecare piccioni e colombe?
Forse qualcuno pensava di chiedere aiuto inviando un bigliettino legato alla zampa di un piccione viaggiatore, come si faceva quando, nell’altra parte del mondo, quello che allora datava 2001, ancora non erano stati inventati il telefono e la posta prioritaria?
Usare il piccione per comunicare?
Non era poi una cattiva idea, tutto sommato, pensò la figura.
Avrebbe potuto scrivere poche parole, un grido d’aiuto e mandarlo in cielo. Chissà, forse qualcuno, in un mondo diverso, avrebbe potuto inviarle un po’ di conforto.
Ancora si ricordava come si scrivesse, avendo imparato, da giovane.
Prima che i rivoluzionari distruggessero le scuole e proibissero alle donne di studiare, frequentava, insieme a tante altre gioiose amiche, una scuola in cui si insegnavano tante cose: a leggere, a scrivere, a contare...quanto tempo era trascorso...
Decise allora di rischiare.
Avrebbe risposto alla colomba azzurra.
«Sono chi non dovrebbe essere, vengo da un passato dimenticato e vado verso un futuro che nessuno vuol conoscere, perché fa paura. Mi puoi aiutare?»
La colomba, senza smettere di volteggiare in modo irregolare, allungò in modo ben visibile una zampa. Aveva capito cosa volesse la figura azzurra. Che subito si mosse, con cautela, ma si mosse.
Un minuscolo pezzo di stoffa azzurra apparve nella mano pallida della figura.
Una lagrima scivolò dalla grata di cotone che le copriva gli occhi e cadde sul pezzetto di stoffa.
Dal contatto con la lagrima, la stoffa si mutò in un foglietto di carta bianca, su cui, con mano tremante, la figura compose parole mai scritte prima:
“Abbiamo bisogno di aiuto; chi riceverà questo biglietto faccia sapere al mondo che qui stiamo morendo di dolore e di paura, di fame e di vuoto d’amore”.
Non chiedeva denaro, non pane, non gioielli né vestiti...chiedeva amore, la figura azzurra, fantasma in un mondo, chiamato Afghanistan, dove solo un miracolo avrebbe potuto mutare la vita.
Appallotto lò la carta e la legò alla zampa del piccione.
“Vai, gli disse, porta il messaggio a qualcuno che a te parrà generoso e capace di aiutarci”.
Un rapido movimento di ali, e l’animale scomparve nel cielo.
Volò, la colomba, con il messaggio legato alla zampetta, decisa a compiere la sua missione, fosse anche stata l’ultima cosa che avrebbe fatto. Evitò pallottole di fucili, superò il calore delle fiammate, volò sulle montagne alte, in cui si nascondevano guerriglieri armati, con il volto nascosto da una sciarpa della vergogna.
Volò per giorni, senza fermarsi, spendendo tutte le sue energie.
Giunse, finalmente, in un luogo che le parve tranquillo: alberi, animali in libertà, fontane zampillanti acqua fresca, e tanti bambini impegnati nel gioco, sorridenti e festosi.
“Questo è il posto giusto, per consegnare il messaggio”, pensò la colomba, desiderosa anche di riposare, finalmente.
Si avvicinò al gruppo di bambini, cercando di far notare il pezzetto di carta legato alla sua zampetta.
Lo vide un bambino.
Incuriosito, si avvicinò alla colomba e slegò il foglietto.
“Mamma, mamma, chiamò il bimbo, sorridendo, guarda cosa ho trovato. Un pezzetto di carta legato alla zampa di questa colomba”.
“Vediamo un po’, gli rispose la mamma, avvicinandosi a lui, vediamo di che si tratta”.
Tolse dalla mani del figlioletto il pezzetto di carta e lo svolse, lo osservò per bene, lo analizzò da vicino….
“Ma, non si capisce niente, cosa sono questi segni strani? Chissà da dove viene questa colomba.
Strano. Una volta, l’ho letto in un romanzo, ai tempi antichi, si usavano i piccioni viaggiatori per mandare dei messaggi.
Ora, dai, siamo nel duemila; c’è il telefono, il cellulare, la televisione, Internet…sarà sicuramente uno scherzo”.
E, così, senza neppure pensarci due volte, la mamma del bimbo festoso, appallottolò il pezzetto di carta, gettandolo in terra, tra i sassolini del viale, continuando a raccontare alla sua amica di come era riuscita a convincere il marito a portarla in viaggio lontano...“a visitare quel paese così interessante, dove c’è il deserto e dove ancora vivono i guerriglieri che costringono le donne a stare chiuse in casa. Chissà se sarà vero, bisogna assolutamente andarci, è così romantico….”
Maria Clara Mussa
 
  


 
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