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Siamo militari. E basta
Donne ed Esercito, in una tavola rotonda al Circolo ufficiali delle forze Armate a Roma
fotografie di: Daniel Papagni

05-03-2010 - “Siamo militari. E basta”. Una frase lapidaria che, a leggerla con attenzione, racchiude una scelta di vita consapevole e una visione del mondo, della vita e del proprio modo di essere.
A pronunciarla è l’Allievo Scelto Emanuela Fratini, al secondo anno dell’Accademia di Modena. La sede è il Circolo Ufficiali di Via XX Settembre a Roma; il contesto, una tavola rotonda organizzata dalla sezione di Roma dell’Associazione Lagunari. L’uditorio è variegato, ma spiccano nomi illustri delle alte gerarchie delle quattro Forze Armate.
Il tema è di quelli che fanno discutere: Donne ed Esercito.
Con coraggio e un pizzico di sana sfrontatezza, quattro donne hanno deciso di offrire le loro esperienze, sogni, aspettative e aspirazioni a quel pubblico che, alla fine, dovrà “giudicare” il risultato di dieci anni di presenza femminile nelle Forze Armate italiane.
Che il tema sia di quelli che accendono e fanno discutere lo dimostreranno gli accesi interventi e le domande, anche provocatorie, che, prima della conclusione, giungeranno dalla platea, poste sia da fermi sostenitori che da convinti detrattori delle donne in uniforme.
“Il principio guida è quello che premia il ‘saper fare’”. Al capitano Valeria Giannandrè, dell’Ufficio Risorse Organizzative e Comunicazione dello Stato Maggiore Esercito, è affidato il compito di aprire il dibattito. È entrata nell’Esercito nel 2000, l’anno stesso in cui i concorsi sono stati aperti anche alle donne e ha quindi vissuto e seguito interamente la rivoluzione “in rosa” che ormai ha compiuto 10 anni. Dopo averne ripercorso le tappe, ne riassume, con quella frase, la filosofia che l’ha permeata. “L’Italia - ricorda il capitano Giannandrè - è stato l’ultimo tra i Paesi Nato a prevedere l’ingresso delle donne nelle Forze Armate”. Dopo 10 anni dall’avvio dell’esperienza, prosegue, “tre sono gli elementi da mettere in luce: la capacità organizzativa delle Forze Armate che in poco tempo hanno saputo adeguarsi alla novità, la capacità di colmare il gap in poco tempo, nonostante il ritardo rispetto agli altri Paesi Nato e l’applicazione del principio di pari opportunità”. Un principio vero, di quelli che non prevedono ad esempio, le “aliquote rosa”, vale a dire un numero di posti decisi a tavolino, riservati alle donne, nei concorsi. O standard diversi per essere ammessi a determinati ruoli e incarichi. In sintesi, nulla di quelle facilitazioni che, invece di aiutare ostacolano. Per un motivo molto semplice: perché screditano.
È la volta dell’Allievo Scelto Fratini. Ventidue anni: da solo tre, prima come Volontario per un anno, poi in Accademia, ha intrapreso la carriera militare. Da molti però, la sognava. “A un certo punto - ricorda - mi sono resa conto di avere aspirazioni diverse dai miei coetanei. Volevo proseguire gli studi, ma volevo anche la possibilità di fare attività sportiva, di ricevere una formazione di alta qualità, di fare esperienze professionalizzanti. Ho cercato, mi sono documentata e alla fine, tutto questo l’ho ritrovato nella prospettiva di una vita nelle Forze Armate”. Emanuela ha un vanto: la sua forte motivazione. “Senza forti ideali - sostiene - non si può affrontare la vita in Accademia. La selezione è dura e solo chi ci crede veramente può andare avanti”. Una motivazione che l’ha portata, l’anno scorso, a classificarsi 2° nel merito complessivo e 1° in attitudine militare tra gli Allievi del Corpo di Amministrazione e Commissariato, di cui fa parte. Sulla sua condizione di “donna-soldato” taglia corto: “Siamo militari e basta”, superando così in un colpo solo, polemiche, opinioni, visioni, diatribe. E guardando oltre.
Alla Tenente Donata Pipolo spetta il compito di affrontare, con il racconto della sue esperienze, un altro aspetto non poco dibattuto: uomini che ricevono ordini da una donna. La tenente Pipolo, 28 anni, è del Reggimento Lagunari “Serenissima”. Dopo due anni trascorsi nell’esercito come Volontario in Ferma Breve, è entrata in Accademia nel 2001. Due le missioni alle spalle: Kosovo, tra luglio e novembre del 2002, e Libano, nel 2008-2009. Attualmente è Comandante di Plotone Mortai Pesanti e, racconta, “non ho mai avuto problemi nel comandare degli uomini. Perché, evidentemente, ho sempre dimostrato delle capacità che mi sono state riconosciute da chi avevo di fronte”.
Conclude la dottoressa Marina Catena. Un curriculum esemplare, pieno di esperienze di altissimo livello, tra cui i due anni trascorsi in Kosovo come consigliere di Bernard Kouchner, attuale Ministro degli Esteri francese, all’epoca inviato Onu nel Paese. Oggi Marina Catena dirige l’Ufficio di Parigi del WFP, il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite. È seduta a questo tavolo perché nel 2005 ha vestito l’uniforme dell’Esercito come Tenente della Riserva Selezionata. È con quell’uniforme che, nel 2007, ha trascorso circa sei mesi in Libano, nel periodo in cui è stata presente lì la Brigata Folgore. Esperienza da cui è nato il libro “Una donna per soldato” compendio di quei mesi. Il ricavato è devoluto alla realizzazione di alcuni progetti umanitari in Libano.
Ed è quella stessa uniforme che ha deciso di indossare per ricevere, a settembre 2009, l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Francese.
Marina Catena sostiene con convinzione che non sia solo opportuno avere delle donne nelle Forze Armate, ma assolutamente necessario. “Ci sono alcuni Paesi - racconta - in cui alle donne è concesso parlare e trattare solo con donne”. La questione è puramente matematica: se in un contingente ci sono solo uomini è assolutamente preclusa la possibilità di intrattenere rapporti con il 50% della popolazione. Una limitazione enorme, in un’epoca in cui i conflitti hanno cambiato volto ed è impossibile ormai prescindere dal rapporto con gli abitanti del posto. “Le informazioni che raccogliamo da quel 50% di popolazione - afferma Marina Catena - sono fondamentali per prendere decisioni operative. È un lavoro del quale il Comandante non può fare a meno”. Come controbattere?
Eppure, scomodando questioni di alta filosofia, o addirittura di etica o morale (alla stregua di “le donne sono per natura genetrici, danno la vita ed è per loro contro natura toglierla. Come si comporterebbero di fronte alla necessità di puntare guardando dentro un mirino e sparare a un civile?”) c’è qualcuno che ancora cerca di opporsi strenuamente a questo cambiamento. Ineluttabile ma combattuto.
Glia animi si incendiano, più tra gli uomini presenti in sala. Dall’acceso dibattito vengono lentamente escluse le conferenziere. Ovvio: ognuna, a modo suo, si è già espressa sul tema. Sono avanti.
Certi limiti, ostacoli, guadi li hanno già superati. Sono militari. E basta.
Carlotta Ricci


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