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Sorellina afgana
Faridah vive al nord della regione ovest dell’Afghanistan, dove il tasso di mortalità delle donne è uno dei più alti al mondo
fotografie di: Milla Prandelli

27-01-2011 - Il tesoro più prezioso che nascondo nel mio portagioie è un piccolo anello giallo fosforescente. Ha una crepa ed è fatto di plastica.
Quando mi sono accorta che si stava rompendo l’ho tolto dalla mano destra e l’ho riposto al sicuro. Perché lo vorrei custodire per sempre.
È il regalo più bello ricevuto nella mia vita.
L’ho avuto dalla mia piccola sorella afghana: Faridah.
Chissà se la rivedrò mai.
Faridah vive al nord della regione ovest dell’Afghanistan. In quel paese lontano il tasso di mortalità delle donne è uno dei più alti al mondo.
Basti pensare che si calcola che una ragazza su otto rischia la vita partorendo. Faridah l’ho conosciuta grazie alle Forze Armate Italiane. Mi auguro possa riuscire a diventare mamma.
A crescere. A sopravvivere ed essere appagata e felice. Sul finire del 2010 sono stata a Bala Murghab, oggi tristemente famosa perché uno dei “nostri ragazzi”, il caporale maggiore alpino Luca Sanna, è morto in seguito all’aggressione di un terrorista infiltratosi da alcuni mesi nelle file dell’esercito afghano.
Ero con i colleghi di Luca, i militari dell’VIII reggimento di Cividale del Friuli quando ho incontrato Faridah e sua madre nella clinica di Bala Murghab. È stato incredibile.
Gli uomini del colonnello Andrea Provera hanno accompagnato me e altre due colleghe a vedere quel luogo di salvezza, di speranza e di dolore, dove decine di donne con i loro bambini si sottopongono quotidianamente alle visite dei medici locali, che ricevono almeno una quindicina di pazienti per volta. Le malattie da sconfiggere in Afghanistan e in particolare in una regione lontana dalla civiltà come quella di Bala Murghab sono tante. Gli animali trasmettono la leishmaniosi. La poliomelite è considerata endemica. Poi ci sono la malaria, la febbre e il tifo da zecche, il tracoma, l’epatite A e tante altre infezioni, dovute all’acqua non depurata, alle cattive condizioni di vita, alla scarsissima igiene e persino alla casualità. Chissà cosa aveva la mia piccola, bellissima, Faridah.
Non lo saprò mai.
Nell’angusto e maleodorante ambulatorio della clinica ci siamo notate immediatamente. C’erano tante persone. Eppure è come se avessi visto solo lei, che si copriva con un velo verde sgargiante. Il suo sguardo sembrava indagarmi. Ho capito immediatamente che era tanto curiosa di quella ragazza dalla pelle chiarissima e dagli occhi azzurri, coi capelli rigorosamente coperti ma evidentemente biondi. Così diversa da lei. Lei, Faridah: un incanto di piccola donna fatto di occhi neri e profondi, da pelle e capelli ambrati. Il mio sguardo l’ha accarezzata immediatamente. Come se la sentissi un po’ mia.
Poi, sorprendendomi, si è avvicinata e abbiamo parlato la lingua più bella del mondo. Quella dei gesti.
Mi ha preso la mano e l’ha stretta forte forte. L’ha tenuta vicino al cuore per qualche minuto. Poi la sua mamma le ha sussurrato qualcosa. E lei si è sfilata il piccolo anello che portava al dito. E me lo ha messo. A quel punto ho tolto una fede che portavo sulla mano sinistra e l’ho consegnata alla madre.
Che l’ha indossata.
Poi anche lei mi ha preso le mani e ci siamo abbracciate per momenti che ricordo essere interminabili. È stato un colloquio fatto di sguardi, tra due donne della stessa età, che parlavano lingue per ognuna incomprensibili, cresciute in un mondo diverso e che inevitabilmente avranno futuri entrambi inimmaginabili ma che comunque solcheranno strade che non si incontreranno più. Ci siamo, a nostro modo, augurate felicità. Poi il tempo della visita è terminato. Quando sono uscita Faridah mi ha seguito sorridendo. Ho chiesto all’interprete Najib di dirle che non l’avrei mai scordata e che a Bala Murghab lasciavo una sorellina. Poi sono tornata sul lince, protetta da quegli uomini meravigliosi che sono gli alpini. Sono nata e cresciuta a Brescia, terra dove le penne nere le conosci fin dalla culla. Amati e onorati, gli alpini sono considerati parte integrante del tessuto sociale. Sono loro che consideriamo gli eroi della “guerra bianca in Adamello”.
Si sono sacrificati a centinaia per assicurare un futuro alla nazione. Sono loro che, per ogni bresciano che si rispetti, hanno contribuito alla nascita della nostra bella Italia.
Sono loro che ogni giorno, tramite le nostre tre organizzate sezioni dell’ANA (Brescia, Valle Camonica e Montesuello), aiutano il prossimo. In ognuno degli uomini in forza alla base di Bala Murghab, dai fucilieri al personale medico, passando per il comandante, gli ufficiali, gli addetti alla cucina e alla logistica, ho rivisto il coraggio e l’orgoglio dell’alpinità, evolutasi dalla naja e dal volontariato in una professione.
A loro, a tutti gli altri alpini e a tutti gli uomini e donne delle Forze Armate italiane, in Afghanistan in missione di pace, spinti dalla stessa passione per cui si misero e si mettono al servizio del bel paese, va continuamente il pensiero. Sono loro che nel remoto distretto di Bala Murghab hanno potuto creare la bolla di sicurezza lunga quasi 20 chilometri che garantisce a tutte le piccole Faridah di recarsi in clinica per farsi curare.
I talebani nella regione ovest continuano a essere determinanti: a causa loro le comunicazioni via telefono cellulare possono essere effettuate solo due ore al giorno.
Così dicono le fonti confidenziali e alcuni organi di stampa. A causa loro le strade al di fuori della bolla di sicurezza creata dagli italiani non sono sicure.
Gli uomini come Luca Sanna, ucciso a tradimento nella Cop Highlander, un posto di sorveglianza che consente agli afghani di muoversi senza troppi rischi, stanno dando una speranza a uno dei paesi più belli e poveri del mondo, dove il tempo sembra essersi fermato nel primo medioevo. Qualcuno, in Italia, parla di soldati pronti a offendere.
Un vescovo, recentemente, ha dichiarato che un altro caduto, Matteo Miotto, la nostra 35esima vittima, morto il 31 dicembre 2010 in Gulistan, non è un eroe.
Beh, quel che ho percepito io è diametralmente opposto.
Ho visitato tre volte l’Afghanistan: due mentre responsabile della regione ovest era la Brigata Julia, di cui è parte l’VIII reggimento di Cividale del Friuli.

Una mentre la base del comando era la brigata Folgore. Gli uomini scomparsi nell’attentato del 17 settembre del 2009 sono stati la mia scorta. Impossibile dimenticare.
Ogni volta che ho avuto l’onore di soggiornare in Afghanistan, grazie allo stato maggiore della Difesa e al suo ufficio di pubblica informazione, ho visto uomini e donne mettere a repentaglio la vita.
È accaduto anche a Bala Murghab durante il recupero di coperte e beni di prima sussistenza giunti tramite un aviolancio, fatto da un c130 dell’aereonautica italiana.
I grandi pacchi, pesanti alcune tonnellate, una volta scaricati dall’aereo finiscono nei campi esterni alla base, dove potrebbero celarsi gli “ied”, ovvero gli ordigni improvvisati che hanno causato la morte di molte delle nostre 36 vittime.
Nessuno, al momento del recupero cui ho assistito, è parso curarsi del rischio di espolsivi, di cecchini o di agguati. Perché l’interesse primario era recuperare quegli oggetti da distribuire alla popolazione.
L’attenzione è naturalmente massima, così come la professionalità.
Eppure l’imprevisto potreva nascondersi ovunque. A Bala Murghab ho visto infermieri e medici lavorare nei loro momenti di pausa- se le pause laggiù esistono- perché un bimbo di circa 6 anni, il piccolo Abdule Rahaman, si è ferito al mento e aveva bisogno di essere disinfettato, pena un’infezione grave, che avrebbe potuto portarlo alla morte.
Questo dovrebbe essere, almeno in parte, di consolazione per la moglie e i congiunti dell’alpino Luca Sanna, per i parenti e gli amici di tutti i caduti, dei feriti e dei militari che ogni giorno mettono a repentaglio la loro incolumità per i nostri fratelli afghani e per la “loro” Italia.
Gli uomini e donne di Esercito Italiano, Marina Militare, Aeronautica Italiana e Carabinieri sono i nostri guardiani di pace. A loro dovrebbe andare, sempre, il nostro pensiero.
Cortesia: Milla Prandelli
Milla Prandelli


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